Quanti di voi avrebbero scommesso sulla durata e l'integrità stilistica, peraltro in continua solidificazione, di questi baldi giovani
Job For A Cowboy? Immagino pochi, soprattutto nell'era della discografia usa e getta. Dopo due anni dalla pubblicazione del positivo Genesis la band torna sul mercato con questo nuovo
Ruination, album in cui la matrice prettamente Death Metal sembra essersi ormai cristallizzata, a discapito di quelle tendenze "...core" degli esordi. Non saranno i nuovi Morbid Angel, però è innegabile come il loro Death Metal robusto e a tratti opprimente si faccia apprezzare sin dai primi ascolti, anche grazie ad un songwriting tutto sommato semplice e diretto, senza quegli inutili orpelli che rendono molti gruppi del settore una specie di gigante che non fa altro che pisciarsi addosso senza spostarsi di un centimetro. Riff imponenti perfettamente assecondati da una sezione ritmica dinamica e groovy, per non parlare di un assalto che viene costantemente filtrato attraverso una razionalità lontana km dalla pacchianeria e servita a dovere in brani come Summon The Hounds, March To Global Enslavement e ci aggiungo pure Unfurling A Darkened Gospel, nulla togliendo alle restanti canzoni che in quanto ad efficacia e profondità non hanno nulla da invidiare a tante altre band del settore. Ripeto; facendo un paragone con quello che suonavano all'epoca del mini-cd Doom ne è passato di sangue sotto i ponti, e questa piega maggiormente Death Metal sta iniziando a mettere in evidenza dei pregi ragguardevoli. Non credo (o almeno non posso saperlo) che questi Job For A Cowboy scriveranno l'album Death Metal del nuovo millennio, ma sapranno farsi apprezzare fra chi segue con attenzione le nuove "tendenze" di questo genere. Solidi.
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