Copertina 8

Info

Past
Anno di uscita:2005
Durata:non disponibile
Etichetta:InsideOut
Distribuzione:SPV

Tracklist

  1. PEACE AMONG THE RUINS
  2. THE FRINGES
  3. SEASONS
  4. FIND THE TIME
  5. SPEED OF TIME
  6. SUNSHINE
  7. SLAVE
  8. BRINGIN’ IT ON

Line up

  • Scott Albright: Lead Vocals, Acoustic Guitar
  • Kurdt Vanderhoof: Guitars, Mellotron, Chamberlin, Hammond Organ, Synths, Bass Pedals, Electric Pianos
  • Brian Cokeley : Piano, Hammond Organ, Synths, Electric Pianos, Lead and Backing Vocals
  • Jeff Wade: Drums and Percussion
  • Brian Lake: Bass

Voto medio utenti

From the Vault - Recensione di album del passato



Il pelato Kurdt Vanderhoof ne ha combinata un’altra delle sue. Chi di voi non avesse mai ascoltato i Metal Church provveda, perché nel combo statunitense il nostro chitarrista/songwriter fa da tempo un lavoro egregio sia in fase compositiva che esecutiva; ma adesso, accantonati per un po’ gli impegni con la band madre, il buon Kurdt si cimenta in un esperimento volto a risvegliare atmosfere più legate al miglior prog rock anni 70, con una strizzatina d’occhio ad arrangiamenti più mainstream ed orecchiabili. Ve la faccio breve, che è un po’ il compito di ogni buon recensore: questo disco vale, e vale parecchio. Progressive hard rock, riduttivo parlare di metal o di ‘solo’ rock; un lavoro moooolto legato alle sonorità seventies che tanto fanno impazzire molti di noi (me compreso!), veri hammond e mellotron, registrazioni totalmente analogiche, pur conservando un sound heavy di matrice americana, che sa a volte lambire lidi più AOR. Ma cosa c’è, in concreto, dentro questo debut album dei Presto Ballet? Otto tracce energiche, suonate in maniera a dir poco deliziosa, una pasta sonora che molto premia le tastiere più ‘Emersoniane’ da me ascoltate ultimamente. Strutture musicali complesse, ma quanto basta: qui lo sfoggio di tecnica sembra essere finalizzato alla sola riuscita del brano, ascoltare per credere l’omonima opener, dove le parti più prog sanno ben scivolare su una struttura articolata ma potente. Ottimo ad esempio lo sposalizio di chitarre acustiche e mellotron all’inizio di “Find the time”, song di rara presa, atmosferica ed evocativa, mi riporta alla mente certe sfumature vicine ad Alan Parson Project, Marillion, Genesis. Come assolutamente da ascoltare è “Speed of Time”, un vero tripudio di sound, feeling e tecnica (godetevi le ‘sviolinate’ di basso, semplicemente deliziose). Da segnalare, qualora ce ne fosse bisogno, la stupenda prestazione vocale di Scott Albright, un singer dal presente e soprattutto dal futuro luminoso: fresco, mai banale, ben integrato anche a livello di volumi e frequenze nel suono d’insieme.
Ma non c’è dubbio, mai come in questo caso il successo di un disco lo fa anche il fonico, la produzione ed il mastering, ed infatti qua nulla sembra lasciato al caso: le chitarre sono “grosse” ma mai invadenti, la batteria è pestata o pennellata a seconda di dove serva. Insomma, amanti di Ayreon, Spock’s Beard, Flower Kings e Shadow Gallery, ma anche (se non soprattutto) nostalgici dei solchi vinilici dove la parola ‘progressive’ è stata forgiata (e parlo degli Yes di “Close to the Edge”, i primi Rush, certi Deep Purple alla “Machine Head”, e poi ancora gli immensi Genesis, e magari gli stessi PFM, di cui Kurdt si dichiara un fan), cacciate i soldini senza battere ciglio! Vivamente consigliato anche a tutti gli altri, a tutti coloro che sanno distinguere tra la classe e la capienza, come diceva il mio compagno di banco al liceo paragonando le nostre fidanzate! Ah, che tempi….
Recensione a cura di Pippo ′Sbranf′ Marino

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