Considero da sempre
Brian Howe uno dei grandi “temerari” del rock.
Sostituire, anche se con il conforto di un’esperienza importante con Ted Nugent, una delle voci più monumentali e seminali del settore, all’interno di una formazione essa stessa prototipo e modello di un certo modo di fare musica, è, infatti, una di quelle situazioni degne di essere annoverate tra le “imprese” tanto
straordinarie quanto
rischiose.
Ovviamente stiamo parlando di Paul Rodgers e dei Bad Company, con i quali il nostro ha realizzato quattro ottimi studio albums (“Fame and fortune”, forse il più deboluccio e poi “Dangerous age”, “Holy water” e “Here comes trouble”) vincendo, in parte almeno, la diffidenza di chi venerava il divino Paul e mal digeriva la “deriva” in senso AOR che la
Cattiva Compagnia stava conferendo al suo suono.
E’ chiaro che per affrontare e gestire una circostanza di simile portata oltre al coraggio sono necessarie anche dotazioni tecnico-emozionali di livello, peculiarità assolutamente presenti nella modulazione fonatoria di Mr. Howe, oggi alle prese con il suo secondo lavoro solista (esordio nel 1997 con “Tangled in blue”, pubblicato in Europa con il titolo “Touch”).
“Circus bar” (concepito a Lake Atitlan in Guatemala e così denominato in onore di un locale a tema “circense” in cui erano soliti intrattenersi Brian e i suoi collaboratori) è un disco estremamente gradevole, dove il rock adulto si sposa felicemente con il pop meno edulcorato, lasciando a rari momenti di granulosità hard il ruolo di vibrante diversivo stilistico.
I fans di Brian Adams, Bad English, Foreigner, Don Henley e Rick Springfield, oltre a quelli dei Bad Company “mark II” (omaggiati esplicitamente con pregevoli e particolari riletture di “Holy water”, resa in una suggestiva veste languida e “How about that”, più simile all’originale), penso troveranno numerosi motivi di appagamento nelle canzoni di questo “rasserenante” Cd, vivace e solare nelle melodie, morbido ed elegante nelle atmosfere, senza trascurare l’immancabile apporto di malinconico romanticismo così importante in queste lande sonore.
“I’m back” e “There’s this girl” piacciono per la loro vitalità, “Surrounded” (il mio pezzo preferito, per la cronaca) e “Flying” colpiscono per la magica intensità e pure lo stuzzicante tocco “caraibico” di “Could have been you”, il gusto sentimental-radiofonico di “How it could have been” e “Feels like I’m coming home” (davvero vicinissima a Brian Adams!) e la visceralità di “If you want trouble”, conquistano (assieme alle tracce ripescate da “Here comes trouble” e “Holy water”, ma era fin troppo scontato per chi, come me, pur considerando immortali i lavori della Bad Company “originale”, ha apprezzato ampiamente anche la sua “evoluzione” avvenuta tra il 1986 e il 1994!) l’attenzione e lusingano i sensi grazie ad una voce piena di calore ed espressione al servizio di lodevoli canzoni.
Segnalando la presenza di Wayne Nelson della Little River Band e di Pat Travers, nelle vesti di graditi ospiti di questo “Circus bar”, non mi resta che accogliere con notevole soddisfazione il ritorno sulle scene discografiche di Brian Howe, un artista che ha dimostrato con i fatti che “l’audacia”, la convinzione e la preparazione sono capaci di sconfiggere anche “certi” radicati pregiudizi.
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