Copertina 6,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2009
Durata:37 min.

Tracklist

  1. THE SIN FLOWER
  2. LABYRINTH OF DEATH
  3. COLLATERAL DAMAGE
  4. DRUNK IN A BLOODY RAIN
  5. NIGHT HOLIDAY
  6. FALL OF BLACK BIRD
  7. LIGHT IN THE DARK SIDE
  8. MAN OF BRAIN

Line up

  • Matt: vocals
  • Izzy: guitar
  • Steve: bass
  • Slam: drums

Voto medio utenti

L’esordio dei Collateral Damage mi ha lasciato un po’ spiazzato. Se da un lato è assolutamente innegabile che ci troviamo davanti a quattro bravissimi musicisti, sia dal punto di vista tecnico che da quello compositivo, dall’altro c’è qualcosa che non mi ha convinto appieno a livello di contenuti. Intanto i riferimenti a Iron Maiden e Judas Priest di cui parlano ce li ho riscontrati solo in minimissima parte. Il sound dei nostri è molto più affine a quel metal melodico spesso in voga negli eighties, e che spesso e volentieri sfociava nel glam e nello street rock. Ed è proprio questo secondo me l’ambito più congeniale ai nostri, anche se formalmente possiamo parlare di classic metal nel descrivere la loro musica. Perché allora insisto con questa teoria? Perché tra le varie influenze che ‘sporcano’ il sound di base, che vanno da qualche accenno thrash per quanto riguarda alcuni riff, ad alcuni passaggi leggermente più prog, quelle che più prepotentemente vengono fuori sono proprio quelle più affini a gruppi tipo della scena di L.A., specie durante gli assoli, peraltro molto pregevoli, e per l’uso di alcuni arpeggi tipici del genere. Per non parlare poi della voce di Matt, che se in alcuni frangenti può ricordare l’Andrè Matos più roco, ha un’attitudine spiccatamente rockeggiante. E qui, quindi, si torna, al dubbio espresso in apertura: perché i Collateal Damage non hanno concentrato di più le loro capacità in questa direzione? Perché parliamoci chiaramente, il loro omonimo debut album non è abbastanza thrash per piacere ai thrasher, non è abbastanza metal per piacere ai nostalgici, e al tempo stesso è poco sleaze per piacere ai rockettari. Ed è un peccato, perché, ripeto, le capacità dei nostri sono più che evidenti. A questo punto potrebbe entrare in gioco l’inesperienza, sperando che davvero sia dovuta a quest’ultima quella sorta di incertezza che pervade l’album, e che nei prossimi lavori i nostri trovino la loro strada. E se “The sin flower” è un brano poco incisivo per assumere il compito di opener, con “Labyrinth of death” il sound si indurisce un po’, richiamando leggermente alla mente alcune cose più soft dei Metal Church. Ma è con la title track che i nostri piazzano il primo colpo, con un brano ruffiano al punto giusto, seguito a ruota da “Drunk in a bloody rain”, dall’incedere più andante… Ovviamente non poteva mancare la ballatona di turno, quindi dopo la più rockeggiante “Night holiday” e la più veloce “Fall of black bird”, ecco arrivare “Light in the dark side”, dove il singer può esprimere al meglio le sue potenzialità in un pezzo più adatto alle sue corde vocali, visto che per il resto dei brani cerca sempre troppo insistentemente l’acuto d’effetto, con risultati non sempre entusiasmanti. Chiude l’album “Man of brain”, bel mid tempo con un bel riff roccioso in apertura. Insomma, luci e ombre per questo disco e per questo gruppo… una classic/thrash(poco)metal band con l’anima sleaze/street? Può darsi di sì, e ancora non se ne accorgono…
Recensione a cura di Roberto Alfieri

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