Gli
Avenged Sevenfold sono cresciuti. Maturati come uomini, sicuramente segnati dalla perdita di “
The Rev”, al secolo James Owen "Jimmy" Sullivan, batterista della band e colonna portante dell’alchimia che da sempre lega insieme questi 5 ragazzotti americani. Come tirarsi fuori da una situazione potenzialmente distruttiva? La band fa la mossa giusta, e decide di prendere dietro le pelli nientemeno che sua maestà
Mike Portnoy, batterista di indubbio livello, ma anche persona esperta, di musica e di dolore, di redenzione e di emozioni. E così, intraprendono una sorta di percorso terapeutico che li porta a questo “
Nightmare”. Ed ascoltandolo, si percepisce chiaramente come tutto l’album sia proprio un tentativo di esorcizzare, digerire e metabolizzare la perdita di The Rev, convivere con il dolore, e superare una frattura interna che sembra non volersi sanare. I 4 musicisti, sotto l’occhio paterno di Portnoy, mettono dunque da parte buona parte della loro attitudine “ragazzuola”, e si presentano con un album che suona metal, maturo, possente. Sono tanti i brani che lasciano un segno: l’opener è un anthem di sicura presa per orecchie avvezze e vergini, e setta un buon mood per il resto del lavoro; a mio avviso, le tracce più convincenti sono la devastante “
Natural born Killer”, pezzo che si muove su territori speed/thrash, la lenta “
Victim”, che riesce a racchiudere la sensazione della perdita e del dolore, e la bellissima e conclusiva “
Save Me”, vera summa del momento artistico della band, con un’altalena emozionale tra momenti più tirati e soluzioni più leggere ed emotivamente coinvolgenti. Certo, non mancano brani più fiacchi e meno ispirati, ma la sensazione generale è sorprendente, se paragonata alle insulsaggini di qualche disco fa...
Non sono stato mai un fan degli A7X, ancora ricordo il trattamento che ricevettero al Gods 2008… ma devo ammettere che questo album merita la fama che si sta facendo. Primo posto in classifica USA, non è certo un risultato che si ottiene facilmente. Che la mano fatata di zio Mike abbia contribuito al risultato finale? Non c’è dubbio, e darei un bel 10 e lode al fiuto di Portnoy, che riesce sempre a piazzarsi dove meglio conviene, con un opportunismo che fa paura. Ma tant’è, in questo disco anche Mike suona dannatamente bene. Da ascoltare, con un pensiero al reverendo che, di sicuro, sta approvando il lavoro dei suoi fratelli.