Quando mi è stata assegnata dai “luminari” della redazione la disamina di questo Cd, la mia prima reazione, probabilmente non proprio professionale, è stata: “
Che roba è mai questa?”
Copertina molto
naif, titoli e testi quantomeno
curiosi e una sensazione generale di
vaga presa per i fondelli.
L’ascolto, poi, cambia (un po’!) i presupposti, perché i
Nonlinear (ormai privi del suffisso system.theory) appaiono alla prova dei fatti meno
buffoneschi e
spensierati di quello che si è istintivamente portati a credere, almeno dal punto di vista squisitamente musicale, capace di assemblare un ricco
crossover a 360°, tanto variegato quanto piuttosto creativo.
Rimane, ovviamente, un enorme gusto per la poetica dell’
assurdo, per la bizzarria
pazzoide, per l’ironia al di sopra di tutto, ma l’ibrido che scaturisce appare ben organizzato, frutto di quella
lucida follia che distingue composizioni innovative al punto giusto da quelle esibizioni riconducibili alla categoria artistica universalmente riconosciuta con la qualifica di “boiata pazzesca”.
Difficile spiegare la musica per l’appunto abbastanza
contorta dei Nonlinear, una “roba” che frulla convulsamente electro-industrial, techno, funk, punk, new wave, bagliori metal, hip-hop e alternative, quasi fosse il risultato di un sorprendente e iperbolico mix di CCCP, Devo, Think Tree, Caparezza, Daft Punk, Prodigy, Kill II This, Subsonica, Massimo Volume e Faith No More, tutti impegnati in una ruspante e
inebriante vacanza sui Colli Romani.
Liriche che mescolano italiano e inglese (con qualche accenno di francese e spagnolo, in una sorta di
esperanto pungente e scanzonato), urlate, cantate o
declamate attraverso compulsive architetture soniche edificate su elettronica a profusione, loops e beats, musichette da video-games
vintage, controcanti femminili, schitarrate tempestose, accelerazioni e rallentamenti improvvisi, per canzoni che si offrono anche ai
dance-floor più
illuminati e che non si pongono limiti espressivi e anzi, forse, arrivano talvolta a gravare di esagerata imprevedibilità e polimorfia stilistica la loro esposizione.
Qualche sbavatura “sintattico-demenziale” e talune sproporzioni non pregiudicano irrimediabilmente l’efficacia di “Sei mejo te”, un disco sicuramente abbastanza “radicale” e “strano” e tuttavia piuttosto interessante nell’ambito di una visione “spregiudicata” e ampliata della musica rock.
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