Era parecchio tempo che dagli States non saltava fuori un buon gruppo heavy rock imbevuto di feeling southern e di vibrazioni stoner. Sul genere di piccole realtà come Five Horse Johnson, Roadsaw, Sixty Watt Shaman, Sasquatch, ecc, che avevano movimentato la scena nei primi anni del millennio.
Questa lacuna viene ora colmata dai
King Giant, esordiente quintetto che miscela lentezze Sabbathiane con la pesantezza muscolare dei Down e la grezza attitudine delle bands sudiste. Musica spessa e paludosa, riff ipnotici, voce alcoolica e sgraziata, in un contesto generale torvo e metallico. Un disco autoprodotto, pieno di brani dalle ritmiche doomeggianti e spaccaossa, vedi il tonnellaggio di “Solace”, “13 to 1”, “Hollow”, interpretati con la grazia di un Caterpillar. In un paio di episodi si nota più chiaramente l’ispirazione southern rock, un groove riconoscibile nella marcia cadenzata di “Mississippi river” e nella rocciosa “Lady whiskey”, classico inno liquoroso sempre gradito ai poco sofisticati ma schietti statunitensi del sud.
Nel finale, invece, i King Giant esplorano le loro pulsioni più stoner con la lunga ed acida “Desert run”, seguita dall’immancabile cover omaggio ai Lynyrd Skynyrd, vero totem locale più venerato del nostro Padre Pio.
Quindi non c’è da sbagliarsi, se vi piace il genere, come al sottoscritto, questa formazione vi soddisferà in pieno, pur senza portare nulla di nuovo. Album da godersi scuotendo le chiome, in attesa del secondo capitolo già in preparazione.
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