Superflui ma piacevoli. E' la prima definizione che mi viene in mente se penso ai Lipid e in particolare al loro debutto "Hagridden". Incredibile che un gruppo come quello danese - impegnato nell'ormai canonico e anche un pò stucchevole death/thrash di matrice svedese - non appartenga al roaster della Century Media, da anni vero e proprio leader nel settore. I Lipid, pur non inventando nulla (e dubito che in questo genere ci sia ancora qualcosa da inventare) riescono a mettere in piedi una decina di canzoni farcite con riff pieni di groove, momenti di completa melodia, assoli alla Amott, preziosismi batteristici e vocalizzi al limite del growl. Cercare di trovare in tutto questo qualcosa di originale, o senza esagerare anche di non sentito, risulta praticamente impossibile: forse qualche ritmica più ispirata dalla Bay Area, ma non è sufficiente ad evitare che l'ascoltatore si diverta nel gioco del "vediamo se indovino cosa suoneranno questi tra cinque secondi". Tecnicamente i quattro musicisti (di cui due fratelli) non hanno niente da rimproverarsi, se non un uso della voce troppo monocorde. Dal punto di vista del songwriting ci siamo quasi: se è vero che tutte le canzoni iniziano in modo molto esaltante, nella maggior parte dei casi il gruppo finisce per impantanarsi in terreni finto-melodici, con mid tempos che davvero non aggiungono nulla di interessante alla proposta della band. Se i baluardi del thrash/death negli ultimi tempi vi hanno deluso, se vi ha dato fastidio che qualcuno di loro abbia preferito dedicarsi al marketing piuttosto che al songwriting... questo potrebbe essere il disco che fa per voi. Ma solo se vivete di solo pane, Soilwork e Darkane.
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