Flashback: tardi anni ottanta. Grande
buzz attorno ad una band Britannica chiamata
Quireboys, che viene dipinta come una sicura artefice del rilancio musicale del Regno Unito
ormai incapace di opporre una qualche credibile resistenza allo strapotere americano. L’innato narcisismo nazionalistico della Vecchia Albione suggerisce
prudenza e anche la presenza in formazione di Nigel Mogg, nipote del leggendario
frontman degli UFO Phil, figura fondamentale del rock inglese e primo sostenitore e manager del gruppo in questione, getta una vaga ombra di sospetto (favoritismi?) su tutta la faccenda.
Quando esce “A bit of what you fancy” tutto si chiarisce … difficile immaginare qualcosa di più efficace in quel settore che mescola Rolling Stones, Ian Hunter e i suoi Mott the Hoople, Lynyrd Skynyrd, Hanoi Rocks e The Faces, abilmente coordinato dalla voce di Spike, vibrante erede dell’ugola del Rod Stewart “giovane”, dotata di un
rasp e di un ardore non troppo lontano da quella di un altro protagonista del periodo, Mr. Tom Keifer dei Cinderella.
Da allora sono successe un bel po’ di cosette e si sono succedute un sacco di mode più o meno
effimere, ma il rock n’ roll, quello inzuppato di blues, di soul, di forza viscerale e di feeling granuloso e radicato, sembra rimasto intatto, almeno se diamo credito alle emozioni provate durante la visione di questo Dvd (la confezione prevede anche un analogo Cd), in cui i Quireboys, seppur diversi nell’organico (segnalazione obbligatoria per un certo Jason Bonham, ottimo come sempre nel suo muscolare
drumming!), catturati dal vivo nel 2004 sul palco del mitico Marquee Club (quale cornice migliore per questi fieri
gonfalonieri dell’Union Jack?), non fanno per nulla rimpiangere quelli che tanto avevano impressionato ai tempi d’oro.
Non si tratta di una questione di
nostalgia, o meglio non solo di quella, dal momento che le canzoni possiedono un’ispirazione che le rende spesso pressoché immarcescibili e dacché la band, con l’esuberante Spike in testa, conserva la vitalità e l’energia necessarie a renderle ampiamente appetibili anche per chi quel periodo non l’ha vissuto in diretta.
E poi si vede (e si sente) che questa è gente che dal vivo si sa ancora
divertire e così facendo
diverte il numeroso pubblico presente e anche noi che fruiamo di questa brillante esibizione attraverso il filtro di un
freddo schermo televisivo.
Nulla può, però,
oggettivamente impedire allo slancio pregno di honky tonk
sudista di "Misled”, alla ruffianeria di "Hey you”, al romanticismo disperato di "I don’t love you anymore”, all’armonica e alla melodia contagiosa della
hit “7 o’clock” o ancora alla bellezza dei due
encores, l’intensa “Whippin’ boy” e l’invitante r’ n’ r’ al
calor bianco denominato “Sex party” (ma c’è anche ottima
roba più recente, come la pulsante “Show me what ya got”, ad esempio, per una tracklist piuttosto soddisfacente nella sua totalità), di raggiungere i vostri sensi e di scuoterli con quella mistura di “sporcizia”, classe, dissoluzione, baldoria e inquietudine.
Aggiungete una regia dinamica e precisa e immagini nitide che si concedono il piacevole vezzo di alternare sapientemente il colore al bianco e nero (ad accentuare un po’ l’effetto
elegiaco …) e otterrete un prodotto privo di orpelli (nessun extra, menu d’accesso essenziale, …), che ha “nascosta” direttamente nella sua scaletta la risposta più plausibile ad un quesito divenuto ormai imprescindibile a fronte della folta e disagiata offerta discografica attuale … perché dovrei investire del denaro in “Live in London”? Perché
This is rock’n’roll … semplice no?