Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2003
Durata:45 min.
Etichetta:Small Stone
Distribuzione:Vinyl Magic 3

Tracklist

  1. CRY RAIN
  2. CHERRY RED
  3. SOUL DIGGER
  4. THREE AT A TIME
  5. BLOOD DON’T PAY
  6. LOVE 2 LOSE
  7. SWEETWATER
  8. B.C. APPROVED
  9. SAWHILL
  10. YER MOUNTAIN

Line up

  • Eric Oblander: vocals, harp
  • Brad Coffin: guitar
  • Steve Smith: bass
  • Mike Alonso: drums

Voto medio utenti

Qualche giornalista Americano li ha definiti con entusiasmo “gli ZZTop del nuovo millennio”, riferendosi ovviamente all’epoca nella quale i tre barbudos Texani incidevano “Fandango” e non certo alle loro ultime scialbe produzioni. Sebbene abbiano spesso diviso il palco con Deep Purple, Lynyrd Skynyrd, QotSA, Iggy Pop, Nashville Pussy, Johnny Winter, Monster Magnet, oltre che con tutte le bands del circuito stoner/southern/psych Statunitense, dai Nebula agli Halfway to Gone, dai Raging Slab agli Alabama Thunderpussy, io credo che i Five Horse Johnson raggiungeranno mai nemmeno un decimo della popolarità degli storici ZZTop. I tempi sono cambiati per loro sfortuna, e certa musica onesta e sincera, non sostenuta da campagne pubblicitarie, videoclip, abbigliamenti alla moda o dichiarazioni truculente, non stuzzica più la fantasia del mondo giovanile. Quello di cui sono però certo è che si tratta della miglior formazione rockblues oggi in circolazione, e non è poco.
Quando dico rockblues non mi riferisco alla sofferta e languida musica di un John Mayall, bensì ad un torrido fluido roccioso e muscolare, rumoroso e dal groove infernale, dentro il quale si scatenano senza freni la chitarra acida di Brad Coffin e l’ugola sgraziata ed ubriaca di Eric Oblander, il quale ci aggiunge anche i fantastici mitragliamenti distorti della sua armonica.
Non aspettatevi quindi le classiche ballate notturne, preparatevi invece a dimenarvi al ritmo di brani hard della vecchia scuola, inzuppati nel blues e nel southern tra riffs d’acciaio e cori d’assalto, assoli acuminati e tanti inni alla gioia della vita: belle donne, buon bere ed il caro, vecchio, rock’n’roll.
Elementi semplici e genuini, ma il segreto stà nel metterli insieme per farne canzoni dure e trascinanti che non siano solo rumore e rabbia, ed in questo i FHJ sono magistrali. “Cry rain”,”Soul digger”,”Blood don’t pay”, solo per citarne alcuni, rappresentano anthems che non ammettono discussione e faranno strage tra chi ama ancora il rock che scalda il sangue.
Non cambierei un solo disco della band con cento delle produzioni bollite che vanno oggi per la maggiore, ma se vogliamo fare i critici fino in fondo notiamo che “The last men on earth” è leggermente meno ispirato del suo predecessore “The n.6 dance”. Sicuramente ora i voli solistici di Coffin hanno guadagnato più spazio all’interno dei brani, e l’armonica di Oblander pare meno torrenziale, più misurata, che in precedenza e ciò può essere tutto sommato un bene. Nel disco è palpabile un’atmosfera più heavy che in passato, piccoli dettagli che spingono il sound verso una maggiore durezza ed anche questo può essere una nota positiva, vista l’abitudine di molta gente a considerare obsoleta e sorpassata qualunque proposta che evidenzi marcatamente le proprie radici antiche, fondamenti blues nel caso dei FHJ. Ma a quest’album manca ovviamente un episodio come “Odella”, una di quelle jam singolari e straordinarie che riescono una volta nella vita, diventando pietra miliare di una formazione ( e non solo..). Alcuni dei nuovi pezzi riescono quasi a ricreare la medesima atmosfera, ma si fermano un gradino prima.
Sofismi da intenditori di nicchia, ma non mi piace limitarmi a dire: “è uno dei miei gruppi preferiti, per cui si tratta di un capolavoro e se non siete d’accordo vuol dire che non capite un c…” come purtroppo vedo fare da più parti.
Il nuovo disco di questa eccelsa band è ottimo e riuscito, ma gli manca qualcosa rispetto al precedente, punto e basta. Non si modifica il fatto che i fans dell’heavy rock devono averlo nella discografia.

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