Quando scende in campo
Liv Kristine, l’opinione pubblica si spacca. Da una parte, quelli che la considerano una bandiera del metal gotico e folkeggiante, una voce inconfondibile e storica del panorama metal moderno, già dai tempi dei Theatre of Tragedy. Dall’altra parte, tutti coloro che considerano i Leaves’ Eyes un “
imputtanimento” degli Atrocity, asserviti alla causa (commerciale) di Liv e del marito, il lunghissimo-crinito Alexander Krull. Per me, come sempre in queste questioni, la verità sta più o meno nel mezzo, e così il nuovo “
Meredead” non fa che aggiungere carbone alla brace.
Partiamo dal titolo, gioco di parole tra ‘
meremaid’ e '
dead', una sorta di sirena morta, quindi? Così farebbe pensare anche la signorina immortalata in copertina, ma se qualcuno ha suggerimenti, ce li fornisca pure! Da notare, inoltre, come la pronuncia ‘all’italiana’ faccia quantomeno sorridere…. Ma torniamo seri, e tuffiamoci in questi 54 minuti di metal altamente influenzato da tradizioni folk tra le più disparate: troverete dentro “Meredead” parti cantate in inglese, antico inglese, norvegese, citazioni liriche riferentesi al folclore nordico, a quello gaelico, e chi più ne ha più ne metta. La quota spettante al buon Krull è sensibilmente diminuita, ed Alexander si fa vivo solo in pochi brani, per lo più collocati nella seconda parte del dischetto (la potente “
Sigrlinn” su tutte). Ma sin dall’opener “
Spirit’s Masquerade” è evidente come i Leaves’ Eyes targati 2011 puntino moltissimo sull’impatto emotivo e poco, poco, davvero molto poco sulla componente metal della loro musica, che per carità è presente, ma è relegata a mero ingrediente di una ricetta sonora compositva e variegata.
Un bene? Un male? Questione di gusti. Certo è che, già da “
Etaìn” l’ottima base strumentale della band si mette al completo servizio di Liv, ed i picchi si toccano in canzoni come “
Velvet Heart”, “
Krakevisa”, il primo singolo “
To France” (cover, peraltro, di una canzone di Mike Oldfield), o la title track, in cui gli strumenti acustici prendono il sopravvento, se non in fase di mixing finale, sicuramente quanto ad importanza nell’arrangiamento.
In fondo, dopo tutte queste parole, non è cambiato niente; i Leaves’ Eyes sono da sempre alfieri di una musica fortemente ancorata al folclore delle terre nordiche, e visti i recenti risultati di vendite e di pubblco, sarebbe stato folle cambiare copione. Per cui, mi sento di dire che questo “Meredead” è il classico album dei Leaves’ Eyes. Se avessero osato un pelino di più, o avessero tentato una sferzata un filo più potente ed aggressiva, lo avrei molto gradito, per le potenzialità che sento dietro ogni lavoro di Liv e soci. Ma tant’è,
what you want is what you get.
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