Ascolto “Normale” esordio ufficiale degli
She's Mad On Dancing e non posso che trovarmi catapultato (ahimè solo
virtualmente) negli anni d’oro dell’Amphetamine Reptile di Minneapolis, della Touch and Go di Chicago o della prima Sub Pop, un’epoca straordinaria per i suoni “alternativi”, con tutta la sua incontenibile carica iconoclasta orientata al rinnovamento e alla destrutturazione.
Stesse le trame sferraglianti ed ipnotiche, analoghe le nevrosi soniche e l’angoscia rabbiosa delle voci, compatibili le drastiche e imprevedibili scosse elettriche alternate a sospensioni placanti, conturbanti e agonizzanti, simili le reminiscenze di blues urbano ed acido inserite in un linguaggio musicale estremamente variegato ed umorale.
Noise-rock dalle profonde tinte oscure, hardcore, metal dissonante e detriti jazz, appaiono così i tratti salienti di un sound che ricorda i profili artistici di band come Sonic Youth, Today’s The Day, Melvins, Helmet, Jesus Lizard, Shellac e Cows o anche quelli di Unsane, Neurosis e celebra le prerogative di un “movimento” capace di suscitare un doloroso e violento impatto fisico, ma anche in grado di evocare profonde suggestioni emotive.
Tutta “roba” superata, dunque, figlia ancora una volta di un
revival sempre più presente nella scena musicale attuale, evidentemente incapace di reperire stimoli
inediti?
Direi proprio di no, perché se è ormai evidente che “inventare” qualcosa è obiettivamente diventata un’impresa quasi
impraticabile è altrettanto vero che quell’approccio musicale così schizofrenico e “intercambiabile” è poi diventato l’immaginario stilistico a cui formazioni “contemporanee” hanno attinto per edificare il loro percorso espressivo (un sacco di gruppi marchiati dal detestabile prefisso
post … dai Cult Of Luna ai Dillinger Escape Plan, passando per One Dimentional Man e Coalesce), riscuotendo l’ammirazione degli estimatori del “nuovo” e dell’autenticamente “progressivo”.
Ed ecco che anche questa band emiliano-romagnola, sapiente nella citazione dei modelli, brillante nella dominazione della paranoica e limacciosa materia che ha scelto di praticare e addirittura “vezzosa” nell’intitolare i suoi pezzi utilizzando la madrelingua (dedicandoli, nella maggioranza dei casi, a categorie “social-professionali”) per poi passare all’inglese per le veementi liriche, merita tutta l’attenzione che si riserva a chi cerca (faticosamente) di dire qualcosa di significativo e carismatico esplorando le pieghe di codici espressivi già
svelati e
collaudati e ciò nonostante ancora ricchi di potenzialità nell’ambito della comunicazione e della rielaborazione illuminata dei temi base.
Il talento compositivo e il concitato pathos apocalittico evidenziato in brani come “Il fantino” (con vaghi riverberi Primus-
iani), “L'adulatore” (davvero efficace), “Leopold Bloom” (una suggestiva
pièce de résistance Joyce-
iana sospesa tra pura brutalità, torbidi rallentamenti e liquidi brandelli melodici), “Il tappezziere” (aspra, lacerata e gravida di sinistra tensione) e, in parte, “Io sono Dio” (interessante per l’uso delle voci nel coro “a cappella” e per il clima strumentale plumbeo e metropolitano e tuttavia un po’ ridondante), mi porta a superare l’eccessiva dilatazione e qualche leziosità “cerebrale” di troppo presenti in taluni momenti di “Normale”, inducendomi a considerare gli She's Mad On Dancing una solida promessa destinata a crescere in fretta, nel solco di quel “rumore ispirato” perfetto per le inquietudini degli anni novanta e idoneo pure ad esorcizzare le ansie e le incertezze del terzo millennio.
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