Seguo gli
Unearth dai tempi del loro secondo album “
The Oncoming Storm”, sperando sempre in un netto miglioramento, in qualcosa che li rendesse diversi dai milioni di gruppi sulla scena. Di strada ne hanno fatta tanta, in positivo e in negativo, e ormai, essendo sulle scene da 13 anni, possono considerarsi dei “vecchietti”. “
Darkness in the Light” è quindi il loro quinto studio album, quarto per la Metal Blade Records, e parrebbe che quella maturità artistica tanto agognata dal sottoscritto sia stata raggiunta, anche se a discapito di un certo grado di originalità.
“
Darkness in the Light” non si allontana di molto dagli stilemi classici del genere, ma incorpora elementi cari a band come
Trivium e
Killswitch Engage soprattutto, distanziandosi un po’ dall’ultimo “
The March”, decisamente più
Testament-oriented. E dai conterranei
Killswitch Engage (entrambi i gruppi infatti hanno le loro radici nel Massachussetts) pescano a piene mani, assoldando per l’ennesima volta il chitarrista
Adam Dutkiewicz come produttore e aggiungendo alla line-up, almeno per questo album, il batterista
Justin Foley, a parere di chi scrive il miglior batterista metalcore in circolazione. E diamine se si sente.
Grazie a Foley, ma senza sottovalutare l’enorme lavoro di
John “Slo” Maggard, il sound degli
Unearth diventa in questo disco particolarmente granitico, con una sezione ritmica schiacciasassi, che in ogni canzone lascia libero sfogo alle chitarre di
Buz McGrath e
Ken Susi, sia nelle parti più melodiche (“
Arise the War Cry”) sia in quelle che più mettono a repentaglio la salute del nostro collo, “
Eyes of Black” su tutte.
Anche la voce di
Trevor Phipps, che continuo a non gradire particolarmente in quanto troppo hardcore per i miei gusti, si presta maggiormente alla causa, accusando meno “cali” rispetto ad alcuni scempi mostrati in passato. Resto comunque convinto che un cambio di cantante possa fare molto bene agli
Unearth, una voce alla
Jesse Leach sarebbe perfetta.
E il nome dei
Killswitch Engage torna prepotentemente di moda nella disamina delle restanti canzoni degli Unearth, rischiando eccessivamente di scadere nel plagio con “
Coming of the Dark” e soprattutto con “
Shadows in the Light”. Gli Unearth però riescono comunque a metterci del loro, anche se il lavoro di Justin Foley alla batteria richiama troppo spesso gli echi di Westfield.
Qua e la qualche acuto anche al mondo scandinavo, in particolare con “
The Fallen”, che sembra uscita dall’ultimo lavoro degli svedesi
Scar Symmetry, soprattutto nel ritornello.
In conclusione quello che abbiamo per le mani è un buon disco di metalcore, a tratti eccessivamente derivativo ma decisamente godibile. In un calderone di gruppi più o meno degni di nota, gli
Unearth riescono a trovare un proprio equilibrio, senza mutare troppo la loro proposta, risultando allo stesso tempo positivamente e negativamente conservativi. Non per tutti, ma un ascolto glielo si da più che volentieri.
Quoth the Raven, Nevermore..