Un
altro nome “riesumato” dai gloriosi anni ottanta e, nonostante i miei soliti dubbi, un
altro buon disco.
Gli
After Hours ebbero il classico quarto d’ora di celebrità nel 1988 (con l’albo d’esordio “Take off”), ci riprovarono con tante difficoltà e senza troppa fortuna (“After hours”, uscito nel 1992), per poi sparire fino al 2008, anno in cui un incontro casuale tra John Francis, Tim Payne e Martin Walls si rivelò “galeotto” per la ricostituzione della band, stimolata dalla passione inesauribile per il rock melodico, convinti di poter recuperare l’antica magia.
Beh, sono sicuro che un certo ritorno d’interesse per l’AOR e per le sue ”vecchie glorie” (anche per quelle un po’ dimenticate!) abbia avuto il suo peso nella decisione, ma francamente non mi sento di biasimare in alcun modo il brillante gruppo britannico, vista la sua storia e soprattutto le virtù artistiche ostentate in questo “Against the grain”, un lavoro assolutamente
rigoroso, sulla scia luminosa di Journey, Strangeways, FM e Foreigner, ma anche talmente ben congeniato e realizzato con gusto da risultare molto godibile ad un ascolto in cui si percepisce distintamente tutta l’esperienza e la sicurezza di ottimi musicisti alle prese con la loro materia preferita.
Suoni levigati e ricchi di pathos, stemperati da una giusta dose di energia, sapranno avvolgervi e conquistarvi, in un clima
familiare e
accogliente che vede la voce pastosa di John Francis, dalle peculiarità timbriche affini a Perry, Overland, Bolton e Rodgers, nel ruolo di primario
cicerone e la chitarra di Tim Payne, gravida di sensibilità e di misura, a raccordare con maestria le trame di un songwriting piuttosto coinvolgente e convincente.
Il Cd, dunque, nonostante qualche calo di tensione, offre momenti di notevole efficacia, a cominciare dall’opener “Stand up”, da “Turn on your radio”, da “Angel” e da “I need your love”, edificate sulle strutture interpretative inventate dai
sovrani del genere Journey, passando per “Eleventh hour”, con le sue atmosfere celtiche ed estatiche (una suggestiva mistura che contempla bagliori di Dare e di liquide chitarre vagamente Floyd-
iane) e per una vibrante title-track (tra Led Zeppelin e Whitesnake), concludendo la sua elargizione di superiore godimento
cardio-uditivo attraverso le confortevoli e collaudate “braccia” armoniche della soulful “When you’re around” e del bel tocco Bad English-
esque di “I want yesterday”.
Un ritorno degno di attenzione, che cancella con la classe e la qualità le perplessità di un’operazione di “recupero” storico ormai troppo frequente per non essere accolta con
lieve diffidenza, ma che, come in questo caso, è anche funzionale alla rivalutazione di soggetti artistici meritevoli della vostra preziosa collezione melodica.