Ci sono tante ragioni per essere attratti dai
Big Life, ancor prima di ascoltare il loro disco d’esordio auto-intitolato, licenziato per l’AOR Heaven.
Alcune parecchio banali, come la corrispondenza delle testate con il quarto album di uno dei miei
idoli personali nell’ambito dell’hard melodico (i Night Ranger, ma spero ardentemente che la precisazione sia superflua!), altre decisamente più “sostanziose” e significative, vedi il ritorno alla “visibilità” artistica per l’ex Praying Mantis Mark Thompson-Smith, sodale di un “cult hero” come Steve Newman, artefice di una carriera di notevole valore con la sua band Newman e con una serie importante di collaborazioni (Atlantic, Steve Overland, Frozen Rain, Far Cry, Grand Illusion, Phenomena, …).
Curiosità che trova un immediato riscontro alla prova dei fatti, convalidata da un’ora abbondante di rock adulto piuttosto rigoroso, ma anche abbastanza variegato nelle sue modalità espressive, che pur conservando classe ed eleganza in ogni circostanza sanno fluttuare egregiamente tra energia e sentimento, aggiungendo alla grande tradizione anglosassone del genere anche quella “freschezza” indispensabile a sfuggire alle eventuali accuse di stantio anacronismo.
Le prove schiaccianti di un lavoro davvero eccellente le troverete fin dal primo frangente, una “Dying day” dal sublime tocco pomp (chi ha detto Prophet?) capace di attanagliare fin dal primo ascolto i sensi degli appassionati, e non è da meno l’immediato prosieguo del programma, che piazza in sequenza la melodia vibrante e levigata di “Close to you” (ottimo il guitar-work), il pathos tangibile di “Better man” e le allusioni mediorientali di “Calling”, un pezzo da incorniciare se nella musica cercate contemporaneamente
graffio e
aristocrazia.
Il lirismo opulento (con un alito di U2!) che anima “I'll still be here” meriterebbe di farla diventare una
hit radiofonica e mentre mi rendo conto che purtroppo si tratta probabilmente di un’
utopia, l’attenzione viene riaccesa dalla soffusa “Deep water” e dalla preziosa “At the end of my rainbow”, che con il suo lieve gusto
modernizzato dimostra un'altra sfumatura della personalità artistica della band.
Il melodramma elettro-acustico “Leaves” appare solo un poco “sopra le righe” e tuttavia lusinga per intensità, così come non spiace lo zuccheroso afflato sentimentale di “Stop in time”, interrotto (prima di una crisi iperglicemica!) dalle sensazioni più viscerali evocate da “Takin' me down”, un pezzo vagamente Whitesnake-
iano, gratificato da un istantaneo refrain, e dalla
bonus-track “Special relationship” un altro hard-blues carico di feeling e di raffinatezza, inframmezzati da una piacevole “Nothing without you”, che troverà i propri principali estimatori tra i fans dell’
intimità dominata da voce e chitarra acustica.
Confermando la presenza di Thompson-Smith (un ritorno da celebrare entusiasmo!) e di Newman tra il novero dei musicisti
eletti, non mi resta che consigliare senza remore questo “Big life”, ulteriore dimostrazione dell’ottimo stato di salute goduto dall’AOR attuale.
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