Io ci ho provato.
Davvero eh, ci ho provato per una settimana intera, ma non sono riuscito a trovare UN difetto al nuovo lavoro dei
Fair to Midland. Non che ci tenessi particolarmente, anzi, però ho voluto ascoltarmelo davvero bene e davvero a lungo per rendermi conto se mi trovassi di fronte o meno a un capolavoro. E la risposta è stata: assolutamente si. Alla fine mi è risultato più difficile decidere il genere musicale in cui catalogarlo rispetto al dargli una valutazione
Ammetto candidamente di non aver mai sentito parlare dei
Fair to Midland prima della scorsa settimana, quando in un impeto di curiosità ho preso in carico questa recensione, ascoltando “
Dance of the Manatee”, proveniente dal penultimo album della band, giusto per farmi un’idea di quello che mi sarebbe toccato. E fin dal primo ascolto sono stato letteralmente rapito dalle sonorità proposte dal combo americano, che unite a un video decisamente azzeccato mi hanno per un istante trasportato in un mondo fantastico, qualcosa che non mi accadeva dall’ascolto dello splendido “
In the Wake of Evolution” degli svedesi
Kaipa. Ed è stato con la speranza di ritornare in quel mondo che, dopo aver debitamente recuperato e ascoltato la precedente discografia, mi sono approciato all’ascolto di questo “
Arrows & Anchors”, smanioso di ritrovare anche in questa quarta uscita quei suoni ammalianti che accompagnavano la danza del lamantino.
Quarta uscita, perché i
Fair to Midland non sono propriamente dei novellini nell’ambiente musicale, avendo appunto già sfornato 3 ottimi dischi di cui uno,
“Fables from a Mayfly” , sotto l’egida della Serjikal Strike Records, l’etichetta di
Serj Tankian dei
System of a Down. E l’accostamento può risultare adeguato non solo da un punto di vista prettamente lavorativo, perché pur discostandosi decisamente riguardo alla proposta musicale vera e propria, c’è un filo conduttore di “follia” che lega i due gruppi. “Follia” musicale propria anche di diversi altri personaggi, le cui sonorità incrociano alternativamente la trama svolta dai 5 texani. Mi piace pensare ad un enorme parco giochi in cui i
TooL,
Mike Patton, i già citati
Kaipa e
Devin Townsend giocano all’autoscontro, e ad ogni scontro scaturisce una scintilla, che i mangiafuoco
Fair to Midland riescono a inserire nella loro musica in maniera perfetta. Ma chiariamo un punto: non c’è quasi nulla di eccessivamente derivativo, tutto quello che troviamo in “
Arrows & Anchors” è originalità allo stato puro, fattore essenziale e ancor più incredibile se consideriamo la pochezza delle uscite di questi ultimi anni. Questi ragazzi suonano come pochi altri al mondo, c’è davvero poco da aggiungere.
Globalmente parlando, il nuovo disco suona molto più “heavy” del precedente, assestandosi sui livelli di aggressività raggiunti a tratti solo su “
Carbon Copy Silver Lining”, prima fatica dei texani, aggiungendo alle varie composizioni un marcato livello di complicatezza, senza però mai sfociare nell’eccesso, bilanciando il tutto con momenti più classici e quasi al limite del pop, bestemmiando un po’. A riguardo, ascoltare “
Uh-Oh”, in assoluto una delle mie preferite del disco, con un ritornello che ti si stampa in testa e non ne esce più.
Non è istantaneo come “
Fables from a Mayfly”, ma in questo si dimostra più completo, sia a livello di riff che di linee vocali, con un
Darroth Sudderth assolutamente sugli scudi, una delle più belle voci che mi sia capitato di sentire negli ultimi tempi, che senza essere padrone di un range vastissimo riesce a completare alla perfezione una struttura sonora di già altissimo livello, nella quale spicca senza dubbio il lavoro alla tastiera di
Matt Langley, a mio parere il vero cuore pulsante dei
Fair to Midland. Volete un esempio?
“Bright Bulbs & Sharp Tools” è li tutta per voi.
Ma abbiamo parlato di maggiore aggressività..come non citare quindi
“Rikki Tikki Tavi”? Inizia in sordina, con una parte di piano e leggere melodie, salvo sfociare in tutto il suo impeto nel ritornello, con riffoni thrash e un growl interpretato magistralmente da
Sudderth. Caotica ma con stile, in puro
Mr. Bungle style, alternando all’improvviso momenti melodici a micidiali sferzate.
Per il resto è davvero difficile citare qualcosa di particolare, essendo tutte le canzoni assestate su un livello compositivo di assoluta eccellenza, dal combo iniziale
“Whiskey and Ritalin”-“Musical Chairs” (della quale peraltro trovate il video in calce), in grado di oscurare in 8 minuti una buona parte delle produzioni prog e alternative degli ultimi anni, ad “
Amarillo Sleeps on my Pillow”, resa quasi folk dalla presenza del banjo e del violino (entrambi suonati da Sudderth stesso), passando per “
Coppertank Island”, dove la componente elettronica la fa ancora una volta da padrona.
Abbiamo finito? Non proprio..come una ciliegina su una torta già ottima arriva la conclusiva “
The Greener Grass”, 10 minuti di assoluta perfezione, dove si alternano momenti di calma a episodi leggermente più sostenuti che ricordano le melodie di
“Fables from a Mayfly”, shakerando il tutto con un po’ di
“Terria” e ottenendo un risultato che delizierà le vostre orecchie per parecchio tempo.
Ora abbiamo davvero finito. Capolavoro totale, senza ombra di dubbio, dal primo al 55esimo minuto, senza una pausa, senza una caduta di stile seppur minima. Ho apprezzato ogni nota di “
Arrows & Anchors” fin dal primo ascolto, appurando con i successivi di aver viaggiato e di continuare a viaggiare ogni volta che il disco passa nelle mie orecchie. Sono abituato a valutare un singolo album in quanto tale, in senso assoluto, senza paragoni col passato e soprattutto senza paragoni con altri gruppi, e in base a queste premesse il nuovo lavoro dei
Fair to Midland merita il massimo dei voti. Consigliato a chiunque, davvero, perché nessuno può continuare ad interessarsi di musica o lamentarsi dell'attuale palcoscenico mondiale senza aver dato almeno un ascolto a questo piccolo masterpiece proveniente da oltreoceano.
Quoth the Raven, Nevermore..