Stavolta il mio proverbiale sesto senso m’ha tradito, perlomeno in parte… Non chiedetemi perché, ma quando ho saputo dell’uscita del nuovo album dei
Venom ho pensato ad un ritorno in grande stile di Cronos & co., forse perché fare peggio delle due ultime ciofeche “Metal black” e “Hell” era praticamente impossibile, forse per l’ingresso del nuovo batterista dopo il siluramento del fratello di Cronos, Antton, o per il cambio di etichetta, o per la bella e tamarrissima copertina, non so, ma avevo questa sensazione. Ed effettivamente l’inizio dell’album, pur non facendo gridare al miracolo, si lascia ascoltare con piacere. Ritroviamo di nuovo una band fresca, che pur non smuovendo di un millimetro il proprio stile, riesce di nuovo, dopo anni, a proporci qualcosa di degno del nome che porta. E sticazzi se nel 2011 Cronos ancora inneggia a Satana e tratta sempre gli stessi temi, penso che nessuno si aspetti qualcosa di diverso da lui e dalla sua band. I problemi, purtroppo, iniziano andando avanti con l’ascolto, in quanto non solo sono presenti troppi brani nella tracklist (13, e nella limited edition addirittura 15!), ma soprattutto ce ne sono troppi veramente di basso livello, nulla che possa far andare “Fallen angels” di molto oltre la sufficienza, e tra questi proprio le due bonus track. Man mano che si procede, infatti, le canzoni diventano stagnanti, e solo di tanto in tanto c’è qualche bel riff che risolleva un po’ le sorti dell’album. Certo, non c’è nulla da ridire sui comprimari, preciso e quadrato Danté dietro le pelli, grintoso Rage con la sua chitarra, e, tanto meno, nulla da eccepire sulla performance del padre padrone Cronos, sia dietro il microfono, con il suo vocione sguaiato, sia dietro il suo basso, perennemente in bilico tra lo stonato e l’intonato. Ma tutto questo non basta, perché quello che latita sono proprio le idee. Ed è un peccato, perché se Cronos si fosse impegnato un po’ di più “Fallen angels” sarebbe potuto essere un bel disco. E brani come la cadenzata “Hail Satanas”, la veloce e granitica “Pedal to the metal”, l’ancora più violenta “Nemesis” o la ruffiana “Lap of the Gods” stanno a dimostrarlo, con la loro ignoranza figlia di altri tempi. E, a modo suo, anche la tanto bistrattata “Punk’s not dead”, dichiarazione d’intenti neanche tanto velata del buon Cronos. Brani asciutti, essenziali, ma che riportano a galla lo stile primordiale del gruppo, anche se, ovviamente, nulla di paragonabile ai capolavori degli esordi. Purtroppo, però, pezzi come “Hammerhead”, dal cantato scandalosamente moderno per Cronos, l’anonima “Baggerman”, o la moscetta “Valley of the kings”, demoliscono quanto di buono partorito dalla band, relegando “Fallen angels” a disco di serie B. Occasione mancata per il trio inglese, che invece di continuare a vivacchiare solo sul suo glorioso nome, poteva dimostrare agli scettici che aveva anche ancora qualcosa da dire. Mezzo passo falso, con un disco che non mi sento di stroncare in tutto, ma che non mi sento neanche di raccomandare vivamente, se non ai fans più accaniti.