Assunto: Rob Rock è una delle grandi (e un po’ sottovalutate) voci del
metal melodico internazionale, la sua preparazione tecnica è indiscutibile, così come ampiamente comprovata è la conoscenza storica del genere, maturata in anni di “studio” e applicazione in svariati autorevoli progetti. E lo stesso si può affermare per i suoi attuali compagni dei
Driver, tra i quali emerge il nome di Roy Z., figura di spicco del
rockrama contemporaneo.
Contraddittorio: non è sufficiente avere mezzi e affidabilità “vocazionale” per impressionare lo
smaliziato astante, a cui interessa precipuamente verificare se tale ambita dotazione si tradurrà in un atteggiamento di costruttiva espressività o sprofonderà nel ricorso al facile manierismo.
Scusandomi con quelli che eventualmente trovassero troppo
schematica l’introduzione (il fatto è che ho da poco rivisto il bellissimo “The great debaters” diretto e interpretato da Denzel Washington, e ne sono rimasto irrimediabilmente influenzato …), passo dunque ad approfondire l’argomentazione appena evocata, effettivamente l’unica veramente significativa quando si affrontano situazioni artistiche di questo tipo.
Il fatto che “Countdown”, contenga ancora una volta, come già il precedente “Sons of thunder”, brani nuovi e materiale ripescato dalla “storia” di una
band nata dalle ceneri del supergruppo M.A.R.S. al crepuscolo degli
eighties, non invalida l’obiettivo primario della disamina e anzi semmai rischia di aggiungere un pizzico di deplorevole
opportunismo ad un quadro valutativo non troppo “rassicurante”, almeno sotto il profilo
etico, in un mercato discografico che non cessa di accogliere con benevolenza ogni forma di “tradizione”.
Tante parole (
oibò), tutte sovrastate dall’ascolto dei
familiari cinquanta minuti del disco, capaci di far fremere gli estimatori di un certo
inossidabile suono “classico”, ben consci dell’
irraggiungibilità dei maestri (Judas Priest, Dio, Black Sabbath, Rainbow, Riot, Malmsteen, senza dimenticare qualcosa dei primi Queensryche, di Crimson Glory, Savatage e pure, in minima parte, Mercyful Fate) eppure difficilmente impassibili di fronte a
riff oscuri e spietati, a
solos taglienti e sensibili, a ritmiche maestose e potenti, a belle melodie e ad una laringe che interpreta al meglio la funzione di coordinamento passionale e stentoreo tra tali consolidati e sempre emozionanti elementi.
Niente di “straordinario” invero, ma la forza contagiosa di un programma che, escluso qualche piccolo calo di tensione, decifra i desideri di tanti appassionati in maniera “semplice” e diretta, senza le complicazioni che spesso sono “costretti” fatalmente a invocare, per
onere e
onore di ruolo, i “critici” musicali (o presunti tali).
Affidarsi alla possanza inquietante di “Return to the sky” e della
title-track (altresì gratificata da virili adulazioni melodiche), all’atmosfera epica di “Rising son”, di un’incombente “Thief in the night” (‘Ryche
meets Dio) e di “Cry of the wounded o ancora al fraseggio serrato di “Hollywood shooting star” e alle cromature di muscolare e funambolico
class-metal esibite in "Feel the fire” è il modo migliore certificare l’attitudine spontanea ed efficiente dei Driver nel trattare una materia in cui dire qualcosa di “nuovo” è praticamente impossibile e in cui il carisma e l’ispirazione diventano i discriminanti principali.
Il “dibattito” è concluso e ratifica “Countdown” come un prodotto all’insegna della qualità, dell’onestà e della coerenza, destinato a soddisfare piuttosto bene i tanti appassionati del settore … per i “capolavori” rivolgersi altrove.