Quintetto di Tucson, Arizona, i
Godhunter si autoproducono un lavoro catalogato come EP ma che con i suoi trenta minuti di durata potrebbe essere benissimo un album vero e proprio, vista la recente tendenza a non abbondare nelle tempistiche dei cd (
vedi ultimo Saint Vitus e altri…nda). La band americana propone un sound genericamente sludge/doom, pesante, massiccio, basato spesso su temi lunghi e lenti, come nella funerea “(Stop being) sheep”. Rigurgiti hardcore e vocals spesse e cavernose caratterizzano il grande tonnellaggio di “Wolves of the north”, che si piazza nella scia di band come Hull, Ramesses o –(16)- , ma con una certa granulosità che ricorda i Down, certamente una delle maggiori influenze di questo quintetto americano. In effetti sorprende abbastanza la presenza di un tastierista nella line-up, ma il suo contributo al disco risulta davvero minimo se non quasi inesistente. Pare infatti che tale elemento sia già stato sostituito da un secondo chitarrista, francamente più consono allo stile della band.
L’atmosfera paludosa emerge prepotentemente nelle ultime due tracce: tra la magia nera, il whiskey e le piante di marijuana nella monolitica “Powerbelly”, ed altrettanto con le vibrazioni stoner/sludge di “The road”, tenebroso calvario alla Crowbar.
Sicuramente i Godhunter offrono una buona prova, sia per intensità che per la capacità di reggere brani molto estesi senza annoiare. Un gruppo che, con una piccola registrata, sarà in grado di ben figurare nell’affollato settore sludge/doom/stoner.
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