Attendevo con ansia “vera” questo ritorno degli
Eclipse, uno dei pochi gruppi in grado di raccogliere
realmente la radiosa eredità dei grandi venerabili (buona parte dei quali tuttora o di nuovo in attività!) di quella costellazione musicale in cui s’incrociano le orbite dell’
AOR, dell’
hard rock e del
class metal.
Ebbene, comincino pure a preoccuparsi seriamente tutti gli astri (più o meno) emergenti del settore, perché “Bleed and scream” è un disco che consegna gli svedesi come trionfatori del genere, in grado di creare più di un grattacapo anche a qualcuno dei “vecchi leoni” non ancora disponibile all’abdicazione.
La qualità principale di questo quarto lavoro è il livello stratosferico del suo
songwriting, capace, in un contesto piuttosto consolidato, di produrre una sequenza di maliose e coinvolgenti situazioni abbastanza differenziate eppure sempre efficacissime, valorizzate dall’ugola stratosferica di Erik Mårtenssom (pilota inappuntabile anche nelle costruzioni corali) e dalla chitarra fremente di Magnus Henriksson, che sembra aver assorbito, per una sorta di malia alchemica, le stesse nobili prerogative dei celeberrimi strumenti di Lynch, Sykes e Campbell.
Insomma, se cercate un fulgido esempio di come si possa inondare di talento, carisma e classe nitidissima il
modus operandi di Europe, Rainbow, TNT, Whitesnake e Dokken, rendendoli davvero
fieri di aver cagionato una forma d’ispirazione così lucida e illuminata, affidatevi senza remore a questo scrigno di gioiellini musicali lucenti e irretenti, assolutamente privo di controindicazioni.
Luccichii che iniziano fin dagli impulsi irresistibili di “Wake me up”, una specie di “interrogazione” melodica (il
refrain è da cardiotonico per ogni
chic-rocker che si rispetti) sul concetto di Dio (il compianto Ronnie James, ovviamente …) e che continuano con una
title-track di eccellente fattura armonica, figlia della grande tradizione scandinava nel campo dei suoni ariosi e passionali.
I fans di Rainbow, Malmsteen, Brazen Abbot e (primi) Stratovarius durante l’ascolto di “Ain’t dead yet” sono sicuro proveranno un brivido d’approvazione, così come sono altrettanto persuaso che un’emozione analoga la percepiranno nitida i sostenitori di Thin Lizzy, Dare e Ten durante l’evocazione “celtica” denominata “Battlegrounds”, superba per
pathos e forza espressiva.
Giunto l’imprescindibile momento della ballata, “A bitter taste”, dimostra la supremazia dei nostri anche in questo particolare settore, con Mårtenssom impeccabile nel ruolo di melodrammatico e virile
heart-breaker (Coverdale
docet) e un Henriksson da applausi nel sensibile turbinio della sua sei corde, il quale prosegue con ulteriore impeto nella successiva “Falling down” un inarrestabile
up-tempo degno del migliore
class-metal d’autore, mentre tocca a “S.O.S.” aggiungere al suggestivo scenario artistico sfumature malinconiche e un piccolo incremento di “modernità”, attraverso un bellissimo brano che senza sconfessare il retaggio “classico” degli Eclipse potrebbe finire per piacere anche a chi predilige l’approccio alla materia di fenomeni musicali come i The Rasmus.
“Take back the fear” inaugura con frenetico dinamismo il
rush finale dell’albo, corroborato dalla ben più adescante “The unspoken heroes” (Ozzy
meets Whitesnake), “About to break” ripresenta con distinzione la possibilità di una pregevole pausa romantica e l’avvincente “After the end of the world” sigilla con la blasonata ceralacca del
Serpente Bianco in versione
americana un albo di spettacolare e vigoroso
hard melodico a 24 carati, imprescindibile per chiunque nutra dei
sentimenti per quest’appassionante universo.
Ed ora, non resta che attendere con rinnovata
apprensione chi saprà fare meglio, ben sapendo che dovrà impegnarsi
davvero molto per sbaragliare questi titanici concorrenti …