Oggi parliamo d’
iniquità, una circostanza che ci circonda, in misura variabile, direttamente nelle vicende della vita e del lavoro, oltre che negli avvenimenti della cronaca, dell’economia e della politica quotidianamente diffusi dai
mass-media, e a cui purtroppo ci siamo ormai praticamente assuefatti, quasi fosse una conseguenza
fatale della nostra convulsa esistenza.
Niente paura, non si tratta del preludio ad un’invettiva sulle distorsioni della società contemporanea, ma siccome anche l’universo della musica, quello che interessa principalmente questa testata virtuale, è una (maggiormente futile di altre,
magari …) parte integrante del
sistema e come tale non è per nulla esente dalle sue prevaricazioni, colgo l’occasione del nuovo disco dei
Threshold, per segnalare un caso evidente di “ingiustizia”, che ha per oggetto un gruppo sicuramente molto importante nella storia del
prog-metal, uno dei pochi in possesso di una propria identità musicale e lirica, eppure evidentemente troppo poco
cool per essere ricordato quando si tratta di effettuare classifiche di merito.
In “giro” fin dal crepuscolo degli
eighties, autori di lavori di grande spessore, i nostri hanno ottenuto buoni riscontri di critica e di pubblico pur rimanendo inspiegabilmente sempre un po’ ai margini della scena, e non è stato sufficiente nemmeno il recente contratto con l’autorevole e popolare Nuclear Blast (inaugurato con il precedente “Dead reckoning”, che ha comunque ottenuto lusinghieri risultati) per abbandonare definitivamente quel ruolo di aurea
cult band che accompagna i britannici ormai da parecchio tempo.
Contribuire ad un atto di autentica “giustizia artistica”, uno dei pochi casi in cui si può facilmente operare con discreto profitto, è dunque compito mio e vostro che state leggendo queste righe, a patto che siate estimatori di una forma melodica, enfatica e melodrammatica di
metallo progressivo, capace di attingere tanto dal
prog autoctono (Yes, Genesis, …) quanto dal
pomp (Styx, Magnum, …), senza dimenticare di assorbire proficui bagliori ispirativi pure dal fronte più magniloquente della
NWOBHM (Saracen, Omega, White Spirit, …).
Sostenuto da un
concept ancora una volta suggestivo e sagace d’ispirazione vagamente Orwell-
iana, “March of progress” è un altro importante tassello nella pregevole carriera dei Threshold, la dimostrazione che la
partnership tra Damian Wilson (rientrato nei ranghi dopo la mesta dipartita di Andrew “Mac” McDermott ), Richard West e Karl Groom è davvero un caso di “matrimonio celebrato in Paradiso”, e che non è necessario essere tecnicamente
vanesi o eccessivamente referenziali per produrre un eccellente portavoce del genere.
La magnifica timbrica passionale ed evocativa di Wilson vi condurrà nelle trame fluide e vibranti di un albo che sa essere argutamente accattivante e malinconico ("Ashes”, "Staring at the sun”, "The hours”, una terna che mesce rifrazioni di Yes, Asia e Wetton / Downes – Icon, e l’emozionante "That's why we came”, che aggiunge i Pink Floyd alla leggendaria comitiva), intenso ed epico ("Return of the thought police”, "Liberty complacency dependency”, la variegata “Colophon” e la regale
suite conclusiva "The Rubicon”, a tratti non lontanissime da certi Black Sabbath Martin-
era), aggressivo e arioso ("Don't look down”) e anche, in qualche modo, “moderno” (il cantato sincopato della toccante "Coda” e comunque una certa freschezza di tutto il programma), com’è giusto che sia per una formazione che non vive esclusivamente nella contemplazione del
glorioso passato.
Lasciate pure ad altri le copertine patinate e le
soap opera da centinaia di commenti nei
forum specializzati, ma nel momento sempre più arduo di un investimento economico a carattere
non essenziale (sebbene per i veri
musicofili si tratti di necessità
vitali …) e quando dovrete sciorinare i protagonisti del settore, ricordarsi dei Threshold, è una faccenda assolutamente legittima e prioritaria … lo documenta il loro vecchio catalogo (in corso di ristampa, in forma ampliata e “definitiva”, ad opera della stessa Nuclear Blast … ne riparleremo …) e lo conferma questo bellissimo “March of progress” …