I
Planters Punch sintetizzano i difetti di quella che attualmente viene considerata musica alternativa italiana per i giovani. Hanno le capacità tecniche e quelle compositive ma non le sfruttano, preferendo confezionare un prodotto che guarda palesemente a canali mediatici come MTV, X Factor e le radio più commerciali. Se andassimo ad analizzare uno per uno i dodici (undici più la ghost track
La Buona Fede) brani di
Il Taglio con la Carta, troveremmo un ventaglio di influenze musicali che costituiscono lo standard anche di molte altre bands uscite negli ultimi anni in Italia, tutte, guarda caso, con sonorità simili fra loro ed ai Planters Punch. C'è, innanzitutto, il rock americano dei Nickelback, con qualche spruzzata Green Day, giusto per il tocco punk commerciale, che piace ai ragazzini ribelli ma non scandalizza i genitori. Parliamo della opener
Exit, della successiva
Sola o
Di Nuovo Qui. Avendo la band una cantante donna, potrebbero mai mancare gli Skunk Anansie più easy, e i Cranberries, oltre agli ultimi Red Hot Chilli Peppers? Naturalmente no. Tutti i grandi nomi citati hanno un merito ed una colpa: il merito è di essere partiti bene, con album portatori di uno stile personale, che ha fatto scuola; il difetto è di essersi venduti al mercato discografico con lavori commerciali, che sono diventati il modello da seguire per confezionare prodotti fintamente alternativi... da parrocchia. E non capita mai che uno di questi prodotti abbia almeno la personalità di chi viene copiato.
Gelido Stato, con la sua roboante apertura metal tutta in tapping, fa intuire quali sarebbero le reali potenzialità della band ed ero arrivata a sperare che si evolvesse in quella direzione, anche se come unicum del cd, ma ha rallentato per assestarsi su una pallida scopiazzatura dei sopracitati Cranberries. La cantante ha una bella voce rock ma la usa in maniera banale e stereotipata, come la musica. I testi sono l'apoteosi di un fastidioso teenager style imposto da una certa cultura americana e che, ahimè, ha attecchito anche da noi. Se non erro, questo album di debutto propone una parte del repertorio già esistente dei Planters Punch, risuonato e tradotto in italiano, scelta anche questa che trovo discutibile, perché toglie quel pochino di internazionalità che la proposta poteva avere e la confina negli asfittici confini della musica commerciale italiana. Se i nostri volessero cambiare stile ed iniziare a fare sul serio, forse potrebbero anche lasciare un segno; così, invece, scivolano via, per confondersi con gli altri gruppi uguali a loro.
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