Ho dovuto ascoltare decine di volte questa nuova uscita dei
Tiamat per farmi bene un’idea chiara di cosa realmente avevo tra le mani. Non volevo prendere abbagli.
Da
The Scarred People emerge infatti una strana luce ed era quello che in parte già mi aspettavo sentite le loro ultime opere, ma questa volta mi era subito venuto il dubbio se i nostri abbiano deciso di fare veramente un po’ come diavolo gli pare e chi li ama li segua, o se stiano ancora cercando di aprirsi nuovi (nuovi in senso lato) orizzonti stilistici scavando qua e là nella loro sconfinata discografia senza però l’azzardo di fondere in una proposta omogenea le divergenze apparse fin troppo forti in questa loro ultima fatica. E questo a mio modesto parere si è rivelato un bene. Ancora una volta.
Ormai i Tiamat non hanno confini delineati, non li hanno mai avuti per la verità, la loro musica continua a spiazzare e questa loro tendenza a stupire diviene ogni volta più marcata tra conferme, delusioni e acclamazioni.
Premesse forse scontate le mie, ma pur sempre dovute in particolare se ci troviamo di fronte a The Scarred People, album di cui se ne diranno (a ragione) di cotte e di crude: partiamo dal fatto che i seguaci più puristi dei vecchi Tiamat non faranno molta fatica a snobbarlo senza farsi troppi problemi, cosa che gli sarà già stato facile fare con il controverso Judas Christ, riaprendo magari uno spiraglio di fiducia con Prey e credo anche con Amanethes, tre album che stendono ancora le loro ombre sul loro operato.
Detto questo addentriamoci tra le note del disco in questione partendo dalla titletrack, nonché opener, scelta come singolo potendo puntare su una struttura melodica semplice ma molto orecchiabile, capace di tentare anche nuove leve senza tradire eccessivamente i veterani ma quelli si sa, non hanno certo bisogno di richiami speciali; il marchio di fabbrica è comunque già evidente e il finale ci accompagna con suoni e voci che ne anticipano l’essenza a
“Winter Dawn” dai toni già più oscuri e sublimi adagiati su una struttura rock minimalista dalla parvenza eterea. Simile dal punto di vista emozionale
“Radiant Star”, dai suoni maggiormente dilatati e lenti e rafforzata da un cantato dalla cadenza scandita e subito coinvolgente. Brani, questi due, separati da
“384EKteis” il pezzo che vanta una maggiore indole atmosferica e soprattutto un volto gothic ben delineato, senza troppi fronzoli e che presenta un'accennata sfumatura doomeggiante. Di sicuro il picco più oscuro dell’intero album.
“The Sun Also Rises” ci mostra un miraggio sognante pur mantenendo la direzione dei brani appena citati; a seguire il breve intermezzo strumentale di
“Before Another Wulbury Dies” disturbato da un vocio di sottofondo. Angoscia e disillusione che sfociano presto in una rabbia espressa da un ritmo più deciso in
“Love Terrorist”, caratterizzato da un chorus profondo e da una parte finale stridula tanto nell’assolo quanto nella voce di Edlung che grida quattro delle parole più abusate della storia della musica e non solo:
can you hear me? (non me ne vogliano Mario Riso e la Scabbia, parlo in generale!).
Ecco adesso un brano insolito
“Messinian Letter” che insieme a
“Tiznit” rischia di essere ciò per cui verrà ricordato (e criticato) The Scarred People; il primo eccessivamente melodico e mieloso, troppo
luminoso rispetto al contesto (spero di aver reso l’idea) persino per i più intraprendenti. Il secondo è invece un pezzo strumentale acustico basato su un arpeggio ridondante a da un’altrettanto ciclica risposta di suoni più bassi a cui si aggiungono quello che pare il suono di un triangolo e un cinguettio con il quale si completa un quadretto arcadico inconsueto, decontestualizzato, ma che al contrario della lettera di cui sopra – a dirla tutta l’avrei evitata in toto- sembra avere il suo perché. Ci può anche stare.
In mezzo ci troverete
“Thunder and Lightning” dal riffaggio più duro dall’aria alquanto metal, con dei bei solos, un bel tiro melodico e la dovuta spruzzata dark, ovviamente.
La chiusura è affidata alla riuscita orchestrazione di
“The Red of the Mourning Sun” Siamo di fronte a un bel calderone fumante, fondato da tinte nere(e
grigie) in cui si innestano melodie pennellate con elementi blues, darkwave e anche progressive. E come vi dicevo prima, sull’animo dark che li ha sempre caratterizzati questa volta si aprono sempre più spiragli di una luce che rischia se non di intaccare la loro opera, quanto meno di renderli meno individuabili.
Per concludere non la considererei una conferma né una delusione; non è nemmeno perfetto, ma non si può negare che The Scarred People sia un disco di indiscutibile qualità a prescindere dai generi e dalle precedenti proposte della band svedese che se non altro continua a mostrare di essere ancora in grado di presentare a fan e non lavori di pregevole fattura, sublimi, raffinati e sempre vincenti.
L’avrò ascoltato pure troppe volte, ma mi sa che ne avrà ancora per molto!