Inkarakùa in Sardo significa osservare di nascosto, senza essere visti. Ed il gruppo di Cagliari sembra proprio aver puntato uno sguardo penetrante sulla nostra società, ricavandone un quadro fortemente negativo.
Ce lo descrivono per mezzo di liriche in Italiano, brevi, secche ed incisive, grondanti rabbia e disprezzo verso un progresso tecnologico ottenuto a spese della dignità dell’individuo.
Testi e concetti espliciti ed astiosi, rafforzati da un sound metal-core violento ed industriale perlopiù tribalistico e debitore ai vari Sepultura e Soulfly (“Futuro=regresso”,”Fobie”), ma che in alcuni frangenti raggiunge vertici di freddezza chirurgica e svolgimento meccanico (“31”).
Questo debutto degli Inkarakùa non è recentissimo, infatti porta la data dello scorso anno, ma trova ora un rilancio grazie al nuovo accordo di collaborazione tra l’etichetta isolana e la distribuzione ligure, cosa che dovrebbe garantire una diffusione più capillare di questo ed altri interessanti lavori collegati, vedi i Black Hole of Hulejra.
Non ci propone novità strabilianti il quintetto Sardo, restando ben saldo nei canoni usuali del genere (rifferama granitico, voce gutturale, assenza di assoli, ecc..), ma lascia comunque aperto qualche spiraglio nel muro sonico per inserire breaks di buon interesse, vedi il reggae acido di “Fango” che per immediatezza del cantato risulta uno dei brani migliori, utili per alleggerire il tonnellaggio generale.
Altre canzoni valide sotto il profilo di un ottimo bilanciamento tra pesantezza musicale e vocals facilmente assimilabili sono “Fjuver”, dalla tematica a sfondo sessuale, e le dinamiche “Madre terra” e “Giorno per giorno”.
Un debutto di qualità non inferiore a molte formazioni estere, ennesima dimostrazione che la scena heavy nazionale è ormai competitiva in ogni settore e merita di essere sostenuta. Gli appassionati di metal moderno possono avvicinarsi agli Inkarakùa con fiducia, il gruppo Sardo si mostra già maturo ed ha potenzialità per fare ancora meglio in futuro.
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