Aaaaahhhh… un po’ di puro e lercio grezzume è proprio quello che mi ci voleva… Dopo la sorpresa dei francesi Infinite Translation, mi tocca smentirmi per la seconda volta nella stessa giornata e andare a parlare bene di un gruppo questa volta spagnolo, gli
Omission, licenziati anch’essi dalla Emanes Metal Records. Vuoi vedere che alla fine dovrò ricredermi sulla scena dei due paesi in questione? Per il momento mi godo questo “Pioneers of the storm”, terzo full length per la band di Madrid, dedita anima e corpo ad un thrash metal old school che più rigoroso non si può. Chiari i riferimenti alla scena teutonica e più in generale alla frangia più estrema del thrash metal, quella senza troppi fronzoli, ghirigori e ricamini vari, quella che punta dritta alla sostanza e che fa dell’attitudine, più che dell’aspetto tecnico, la propria forza. D’altra parte da una band che ha intitolato il suo primo album “Thrash metal is violence” cosa volete aspettarvi? Accompagnato da una delle copertine più tamarre della storia, “Pioneers of the storm” parte subito in quarta con “The slaughter hour”, dopo un intro tutto sommato superfluo, e continua il proprio massacro sonoro con bombe H come “Drunken, junkie & punter” (un titolo un programma), la più lunga “Totally fucked up”, o “I am the devil scythe”, e ha un lieve calo solo nella seconda metà del platter. D’altra parte è plausibile, non stiamo certo parlando di un capolavoro. Ma di un buon disco di thrash metal sicuramente sì, onesto, senza pretese e soprattutto malsano, con il suo satanismo becero, i suoi cliché e tutto quello che deve esserci e ci piace ci sia in un progetto del genere. Nessuno si aspetta nulla di eclatante dagli Omission, semplicemente un nuovo disco da aggiungere alle collezioni dei metal maniacs sparsi in tutto il globo, e questo i madrileni sono riusciti a farlo, e anche bene. Rispetto ai compagni di etichetta Infinite Traslation manca quel qualcosa in più che fa la differenza, ma c’è da dire anche che l’approccio tra le due band è effettivamente differente, pur muovendosi lungo gli stessi confini. Gli spagnoli, infatti, sono certamente più estremi e intransigenti, sia musicalmente che per quanto riguarda le liriche, e sono quindi automaticamente raccomandati agli ascoltatori più estremisti, quelli cioè che tra un tupa-tupa e l’altro non disegnano anche qualche spruzzatina di black qua e là.
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