Copertina 4,5

Info

Anno di uscita:2011
Durata:32 min.
Etichetta:Casket Music
Distribuzione:Rock & Growl Promotion

Tracklist

  1. HATE SWEET HATE
  2. PERSONAL DECAY
  3. BRAIN EXECUTION
  4. WAR
  5. LONG WAY HOME
  6. LAST CHANCES
  7. THE MONKEY IN MY CLOSET
  8. DIRTY LITTLE PRINCESS
  9. TOMORROW NEVER COMES

Line up

  • Annabell Klein: Vocals
  • Christian Litzba: Vocals
  • Tim Schmidtke: Guitar
  • Kevin Klein: Guitar
  • Andreas Ackermann: Bass
  • Frank Koppe: Drums

Voto medio utenti

See You in the Ground è il secondo album di studio dei Deadend in Venice, gruppo tedesco dedito a un melodic death metal piuttosto insolito.

Più che melodic death lo definirei come un crossover molto contaminato, si nota subito infatti il duplice volto di questa proposta che non si limita soltanto ad accostare le (eccessivamente) clean vocals di Annabell Klein ai growls di Christian Liztba ma anche strutture musicali non proprio calzanti con l’idea di partenza e comunque non degne di nota.
Lungi da poter essere considerato un disco death, non presentando delle peculiarità che possano valere questo riconoscimento, punta a questo settore attraverso la voce di Liztba che però non suona quasi mai da growl quanto piuttosto un cantato sporco e a tratti sforzato, poco di impatto.

Quanto alla Klein la vedrei più adatta a un rock leggero sul quale spazia ampiamente durante la sua interpretazione aiutata anche dal contesto che non sembra mostrare i denti né tantomeno ambire a una vera e propria anima melodica ridotta più semplicemente al solo addolcimento dei riff e della base ritmica.

Due sole le tracce a loro modo valide: “War” nella quale divergono dal quadro generale strappando di mano il microfono alla Klein concedendosi ambientazioni di gran lunga più imponenti e “Last Chances” dove la sovrapposizione delle voci regala al pezzo e alla proposta tutta una certa validità.

Death o non death il disco si presenta in definitiva fin troppo spicciolo e poco ricercato, per nulla ambizioso e tra l’altro con un target indefinito.
Marginale.
Recensione a cura di Salvatore Sanzio

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