Vista l’importanza della band in questione, ci terrei a chiarire subito una cosa: “Sacrifice”, nuovo album dei
Saxon, non è un capolavoro. Ci siete rimasti male? Io no, perché diciamocelo chiaramente, chi se lo sarebbe aspettato davvero dalla band di Biff? Nessuno, direi…
Questo però non significa che il ventesimo album della band di Barnsley sia un brutto disco, anzi, tutto il contrario. “Sacrifice” è un signor album, il classico disco che solo i grandi riescono a partorire facendotelo sembrare un compito semplice, da niente…
Dieci i brani presenti, per un totale di una quarantina di minuti… un album vecchia storia, quindi, come si usava una volta. Ed è proprio questo uno dei suoi punti di forza, il fatto che sia fresco, immediato, ma soprattutto ispirato. Già, perché sembra proprio che la band, in questa sua ritrovata giovinezza, abbia riscoperto il piacere di comporre bei brani e quindi abbia ritrovato un songwriting degno della sua fama, dopo gli album scialbi a cavallo tra eigthies e nineties… Quindi dopo il già buono “Call to arms”, arriva questo nuovo capitolo tenuto su da ottimi brani quali “Stand up and fight”, “Warriors of the road”, la titletrack, o l’elegante “Made in Belfast”.
Sembra quasi che questi cinque ‘giovincelli’ abbiamo ancora voglia di dimostrare al mondo di cosa sono capaci, sputando fuori riffoni aggressivi, ma dall’immensa classe, e dando vita ad una prova singolare, con Biff sugli scudi, capace di passare con disinvoltura dalle parti più ricche di pathos a quelle più immediate, piazzando anche un paio di urli niente male, roba che neanche da giovane riusciva a fare così bene…
E al buon Biff spetta anche il merito della produzione, avendola curata in prima persona, e devo dire che il risultato finale è davvero buono, con un sound incisivo che riesce ad essere a cavallo tra vintage e sonorità più attuali, donando ai brani quella marcia e quell’aggressività in più. “Sacrifice”, però, non è un album per nostalgici, è semplicemente un chiaro esempio di come si possa suonare classic metal nel 2013 senza risultare stucchevoli, forzatamente retrò o poco convincenti. Un po’ come fatto dagli Accept con i loro ultimi due lavori. E questa è, se non si fosse capita, una capacità che solo i grandi nomi del passato posseggono, è inutile girarci intorno.
Quindi, tornando all’apertura della recensione… perché ho fatto subito quella premessa? Perché manca quel quid in più che ti fa gridare al miracolo, quel brano spettacolare che ti lascia a bocca aperta, ma ciononostante siamo di fronte ad un grande album, che colpisce fin dal primo ascolto e cresce di volta in volta… E penso che questo sia davvero un ottimo risultato per una band che è in giro dalla bellezza di trentaquattro anni, ha girato il mondo intero e soprattutto era data quasi per spacciata qualche anno fa. Beh, questa è la dimostrazione che con una discreta forza di volontà e con molti sacrifici, come dice il titolo stesso, si può tornare a graffiare e a lasciare il segno…
L’aquila vola ancora alta… forse non a quote inarrivabili, ma sicuramente al di sopra dei tanti passerotti che cercano di imitarla…