Nella scheda di presentazione vengono definiti, non senza un pizzico di
candida sfacciataggine, come gli “inventori” di un
nuovo genere musicale chiamato
sleaze-core, ma diciamo che in realtà i modenesi
The Unripes dimostrano di conoscere piuttosto bene, e in tutte le sue varie declinazioni, le caratteristiche fondamentali di quella formula espressiva leggermente più
âgé chiamata
glam-metal e di essere capaci di trattare la materia con gagliardia, freschezza e istinto, ricordando, in questo modo, proprio l’energia sprigionata dai maestri del settore e dai loro più credibili epigoni.
“This is not America” non rischia di essere confuso tra i molti
wannabe album che frequentano il
rockrama odierno e anche se visibilmente alimentato dagli insegnamenti di Skid Row, Jetboy, Motley Crue, Shotgun Messiah e Slaughter, potrà tranquillamente sfidare sul loro terreno preferito quanto prodotto dai loro eredi più blasonati, che si chiamino Hardcore Superstar o Buckcherry.
L’intensità messa in campo dai nostri allontana lo spettro di un’imitazione spudorata e li distingue da chi appare “focoso” in superficie e “patinato” nel cuore, aggiungendo alla questione pure una certa dose di passionalità, consentendomi di illustrare l’intera operazione attraverso l’ardita e raffinata metafora di un “elegante calcio nel culo”.
Al raggiungimento dell’obiettivo veramente esaltante manca ancora, forse, un ulteriore contributo di personalità e tuttavia non è semplicissimo trovare “luoghi comuni” che battano in efficacia quelli espressi da brani come “Track n°1”, “Reload”, “Get on this rollercoaster” (con tanto di seduttivo tocco “gotico”) e “My muse is called rock 'n' roll”, tutta roba abbastanza “familiare” eppure tanto accattivante e “incandescente” da accendere i vostri apparati
cardio-uditivi fin dal primo ascolto.
Chi fosse interessato a situazioni virilmente romantiche potrà affidarsi a “You are the one”, ricevendone immediata soddisfazione, mentre con “The star beyond this wall” il
combo emiliano dimostra al “mondo” di avere una discreta dimestichezza pure con il
radio-rock contemporaneo, sfornando un pezzo che potrebbe interessare gli estimatori di Black Stone Cherry e Three Days Grace, se non addirittura quelli degli inossidabili Pearl Jam.
La
cover di Geri Halliwell “Scream if you wanna go faster” conferma il vivace temperamento del gruppo senza aggiungere indicazioni particolarmente significative, e due parole, infine, vanno spese sui singoli, segnalando in prima battuta la chitarra davvero affilata e incisiva di Michele "Mike P." Pelillo, e poi l’ugola ferrigna di Axia, la quale, seppur magari non straordinariamente caratterizzata, si palesa artefice di una prestazione di notevole livello tecnico – interpretativo.
Questa non è l’America e neanche la Scandinavia, potremmo aggiungere … solo perché è l’Italia, una nazione che ha sempre meno ragioni di macchiarsi del sesto peccato capitale (l’invidia, per essere chiari … la numerazione non è univoca …) … almeno in fatto di
Rock N’ Roll.
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