Non poteva trovarsi nome più adatto questo trio del Colorado, dietro al quale si celano i componenti della grindcore band Clinging to the Trees of a Forest Fire. Il nuovo progetto musicale sembra voler davvero esprimere qualcosa di preistorico, ancestrale, frutto malato di istinti primordiali ed essenza animalesca. Un disco che ci riporta agli ipotetici albori della musica heavy, ritorno alle origini in un contesto cavernicolo e pre-evolutivo.
Gli undici minuti della title-track sono il trionfo del feedback, della distorsione ininterrotta, dell’ottusa lentezza di un incedere massiccio, spugnoso. I suoni sono rozzi come in quei vecchi album ottantiani che facevano inorridire i puristi, scelta ancor più in controtendenza se si pensa all’overdose tecnologica disponibile oggi. La base ritmica è un rombo raschiante e la voce risulta credibilmente neanderthaliana. Il risultato finale è un calvario sludge-noise-drone in qualche modo sperimentale, perlomeno nel voler condensare il metal nella sua pura pesantezza disturbante ed abissale oscurità.
Tutto il resto rimane tetragono nella medesima direzione, vedi le asfissianti ed indigeste “Rags” e “Antietam”, a parte l’inserimento di un paio di succinti stacchi che comunque accentuano l’aspetto noise e provocatorio. L’atmosfera nichilista e la ricerca di contenuti estremi, sostituendo la velocità parossistica o il fragore rabbioso con l’incedere tendente alla narcolessia e la cieca brutalità subliminale, fanno di questo lavoro un impegno da affrontare solo se adeguatamente preparati. I Primitive Man si rivelano gruppo difficile ed eccessivo anche all’interno di un’area già di suo tutt’altro che leggera come lo sludge metal, ma la loro proposta è indubbiamente non priva di attrattiva malsana e tracimante.