Allora, da dove iniziamo? Ci sono un palestinese, uno svizzero e due italiani … potrebbe sembrare l’inizio di una vecchia barzelletta, mentre non c’è niente di “divertente” nella musica dei
Vanity, enigmatico combo multinazionale con base in Toscana dedito ad una forma piuttosto intensa e coinvolgente di
gothic-rock.
La definizione stilistica è abbastanza di “comodo”, in realtà, poiché in “Occult you” trovano contemporaneamente una loro collocazione linguaggi sonori come il
dark, la
new-wave, l’
alternative, lo
shoegaze, il
metal e il
pop, il tutto pervaso da un’impressionante ispirazione introspettiva, malinconica e paranoide, la stessa, del resto, che traspare dallo sguardo della fanciulla che soggioga l’astante dalla suggestiva
cover dell’albo.
E’ proprio questa visione profondamente tormentata dell’esistenza umana a contribuire fattivamente nel rendere credibile la prova di una formazione che si allinea ad un
trend alquanto diffuso senza eccessivi manierismi, con la forza espressiva di un approccio musicale pulsante e sufficientemente dinamico, in cui Joy Division, Katatonia, Cure, Killing Joke, Depeche Mode, Thine, Interpol, Anathema e magari pure tenui bagliori degli ultimi Bush si fondono e s’intersecano agilmente e istintivamente come il risultato di una condivisione artistico-spirituale e non con le sembianze di un atto di asettica deferenza.
I Vanity evocano l’immagine vivida di una creatura ferita dalla vita, che riversa tutta la sua angoscia in un crogiolo di sentimenti contrastanti … amore, isolamento, morte, risentimento, rimpianto e rivalsa si manifestano passando dalle spigliate tensioni decadenti di “Sleeping tears” e "Ghosts”, all’incombente algidità di “Under black ice", transitando per l’onirismo mediorientale di "Ruins” ed approdando ad una “Pagan hearts”, brillante manifestazione di
spleen “commerciale”, apprezzabile tanto dai
fans di Jonas Renkse quanto da quelli di Dave Gahan.
Post-punk e
metal si scontrano all’ombra di un minareto in “Sun”, “Time’s new romance” aggiunge ai termini della questione un pizzico del
grunge più tenebroso, l’intermezzo strumentale “Limbo” introduce i paesaggi sonici sognanti e le atmosfere rarefatte di una
title-track troppo leziosa per non stridere con il resto del disco e con una “The wanderer” ancora una volta davvero efficace nel trasmettere un vitale senso di dramma, che qui si fa quasi
apocalittico, permeato da clangori metallici, oscurità esoterica e nichilismo, il tutto coordinato da una linea melodica non banale.
I Vanity scongiurano il rischio fondato di apparire superficiali e plastificati e sanno conquistare l’anima dei
rockofili più inquieti con le armi invincibili del talento, del gusto compositivo, dell’integrità e della vocazione … lasciatevi affascinare ...
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