Allora, avete riesumato i primi due
full-length dei
Burning Rain dalla vostra preziosa collezione di dischi, o nel caso vi fossero negli anni
colpevolmente sfuggiti, avete provveduto a colmare la lacuna tramite le proficue ristampe della Frontiers?
Bene, allora siete davvero pronti per affrontare come si deve questo “Epic obsession”, l’albo con cui Doug Aldrich e Keith St. John hanno voluto rispolverare il glorioso
monicker, circondandosi di nuovi affidabili collaboratori (Sean McNabb, noto per la militanza in Dokken e Quiet Riot, Matt Starr della Ace Frehley Band, più un paio di
special guest del calibro di Brian Tichy e Jimmy D’Anda, ex
drummer dei Bullet Boys).
In realtà, ovviamente, l’operazione di (ri)scoperta del gruppo può funzionare egregiamente anche in senso inverso, partendo da questo nuovo lavoro, per poi,
fatalmente, procedere a ritroso … vi accorgerete, qualunque sia la procedura selezionata, che i Burning Rain erano e sono un favoloso esponente dell’
hard-rock blues, corroborato da nervature di
class-metal e da appena un pizzico di suggestioni
sleaze.
Se anche per voi il “sacro fuoco” prodotto da Led Zeppelin, Whitesnake, Blue Murder, Tesla, Badlands, Steelheart e Aerosmith rappresenta un’
Epica Ossessione (a vedere l’
artwork del Cd si potrebbe pure trattare di altro …), non potete proprio prescindere da questo ardente braciere di note e
feeling, capace di divampare nei vostri gangli sensoriali in maniera pressoché inarrestabile.
Dirò di più … verosimilmente la vicinanza di Aldrich al
vate Coverdale, deve essere stata davvero fruttuosa, dacché la forza espressiva scaturita dalla sua sfavillante chitarra e dalle composizioni appare addirittura superiore a quella riscontrabile nel precedente “Pleasure to burn” (che pure, come dovreste sapere, ho rivalutato nella maturità …), dimostrando, qualunque sia la reale motivazione, che tredici anni di supplementare e costruttiva esperienza artistica non sono passati invano.
Sui singoli pezzi poco da dire, o meglio molto, ma si tratterebbe in pratica solo di apprezzamenti, in un’affannosa ricerca di sinonimi e metafore che condurrebbero tutte alla medesima appagante conclusione, quella di una manifestazione inconfutabile di grande musica.
Cercando di limitarmi, posso affermare con tranquillità che “Sweet little baby thing” e “The cure” sono il modo più seducente per “aprire” un programma di questo genere, che “Till you die” è una bomba sonica di rara efficacia, che "Too hard to break” avvolge i sensi nel velluto, che "My lust your fate” e "Ride the monkey” aggiungono un tocco di
vizio stradaiolo all’impasto e che “Heaven gets me by”, la dirompente "Pray out loud”, l’avvincente “Our time is gonna come” e "Out in the cold again” celebrano con gusto sopraffino e inattaccabile vocazione l’insegnamento immarcescibile di “certi”
Hammers of Gods e dei loro migliori seguaci.
A proposito di Led Zeppelin, poi, arriva, in forma di
bonus-track (assieme alla deliziosa versione acustica della stessa "Heaven gets me by”) la sempre “pericolosa”
cover dell’immortale “Kashmir”, a testimonianza che i nostri non temono le “sfide” ambiziose e non nascondono i loro modelli, conseguendo risultati di prestigio.
All’appello mancano, infine, i sentimentalismi concessi alla
radiofonica “Made for your heart” e alla ballata pianistica "When can I believe in love”, e questi sono forse gli unici momenti della raccolta che non mi convincono del tutto, pur rilevandone un’esposizione espletata con la consueta classe.
Se cercate “l’innovazione”, rivolgetevi pure da qualche altra parte (non è
facilissimo, però, fornire indicazioni più
circostanziate …), mentre se ambite ad un eccellente esempio di
hard (
n’ heavy) “classico” con gli attributi, fresco, vitale e privo di manierismi, affidatevi all’opera di questi Burning Rain (magari preferendola rispetto, per esempio, all’ennesimo
live dei Whitesnake) … non vi pentirete dell’investimento.