I Regressive sono di Aprilia (LT) e si possono definire una band “schierata”, nel senso che per loro la musica è un veicolo con cui esprimere le proprie idee sulla società italiana contemporanea. In realtà l’aspetto strumentale è assolutamente secondario rispetto ai testi, che colpiscono di tutto un po’: dalla speculazione edilizia (“Cementifichescion”) alla corruzione religiosa (“Corvi neri”), dai tradimenti amorosi (“Infamità in amore non paga”) alla sudditanza verso gli Stati Uniti (“Fuori gli americani dall’Italia”). In qualche caso il quartetto passa idealmente alle vie di fatto (“Rave? No, mazze; Giustiziere”) esaltando una sorta di pulizia “etnica” nei confronti di tossici, neri, marocchini, pusher, micro-delinquenti e la varia fauna umana che riempie oggi le nostre città. Il tenore delle liriche è questo: “brutti, sudici e sciatti, straccioni debosciati; stravaccati per terra coi vostri cagnacci spelacchiati; puzzate di canne, di piscio e di collassata, voi siete il gradino più basso di una razza degenerata...” oppure: “..io stasera esco, mi copro il viso con il casco, prendo catena e manganello: vado a spaccà qualche cervello!..”. Non esattamente la canzone di protesta degli anni ’70, direi piuttosto “italian-trash del nuovo millennio”.
Comunque il gruppo laziale, che vanta di avere tra le proprie fila un batterista serbo ricercato all’Aia per crimini di guerra (!?!), chiarisce anche i propri capisaldi ideologici, dedicando parole nostalgiche all’Italia rurale, all’Armir (Armata Italiana in Russia) ed alla ridente cittadina dove i nostri risiedono.
Il sound è abbastanza minimale, cioè linee basilari di rock e metal che servono da sostegno alle parole scritte e cantate da Andrea Fantoni.
Indipendentemente dalle opinioni espresse dai Regressive, il tutto sembra davvero troppo scolastico ed elementare e raggiunge a stento la sufficienza.