Quando ho scoperto che i
The Last Warning erano austriaci mi è venuta in mente una scenetta surreale. Ho immaginato dei giovani Mozart, Strauss e Schubert dei giorni nostri insieme davanti al pc tutti intenti ad ascoltare musica skippando di canzone in canzone, litigando su chi fosse più bravo tra John Petrucci e Marty Friedman o su quanto i Manowar avessero stufato con il loro 'Metal, Steel, Sword, Brothers di qua e Warriors di là'. E magari tra una chiacchierata e l'altra ecco saltare fuori l'idea di provare a creare una band tutta loro per tentare di concretizzare la loro sterminata passione per la musica. Immaginate che supergruppo, altro che Avantasia.
Il delicato suono di piano che apre
Progression, quarto album in studio, ha contribuito a rendere viva questa suggestione, ma proprio quando mi aspettavo ondate di archi e fiati a profusione ecco che la realtà si fa breccia brutalmente e senza alcuna pietà per le mie orecchie, che non erano assolutamente pronte per un impatto così violento. La produzione affidata a R.D. Liapakis e ai Music Factory Studios è cristallina e decisamente moderna e punta direttamente al sodo, garantendo un gran bel muro di suono e anche se oggi come oggi ottenere dei risultati di questo tipo è sicuramente più semplice rispetto a 10 anni fa, bisogna riconoscere l'ottimo lavoro che è stato svolto in questo caso.
Ad aprire le danze troviamo
The Beast che dopo 20 secondi scarsi di piano irrompe con tutta la sua potenza e le cui melodie e linee vocali richiamano in modo notevole i
Killswitch Engage, sebbene molte volte la voce di Hans-Jürgen Moitzi sia decisamente tendente al death metal più classico. A confermare questa mia impressione ci pensa l'accoppiata
Devil Inside-Progression che pur restando fedelmente ancorate a un metal di ultima generazione, presentano parecchi riferimenti a band old school come gli ultimi
Kreator, i
Destruction e i
Sodom, andando così ad arricchire una proposta che avrebbe altrimenti corso il rischio di diventare monotona dopo pochi minuti di ascolto.
Si continua alternando buonissime canzoni, come
Pain And Hate e
Awake The Red Lion in cui si sentono addirittura i
Carcass di Heartwork, ad altre decisamente trascurabili in cui troppe volte sembra di ascoltare sempre lo stesso pezzo riciclato all'infinito, oppure si assiste al continuo tentativo di piazzare un ritornello melodico tra parti più orientate al thrash e allo speed, sebbene non ci siano mai parti in cui la voce diventa come per magia pulita e questo ci fa davvero piacere, onestamente. Da segnalare anche
Haunted e
Say Goodnight che viaggiano su un livello più che discreto e riescono a non far scivolare nella noia questo disco che alla fine dei giochi risulta del tutto godibile.
Il vero limite di Progression a mio parere sta nella accentuata linearità dell'intero lavoro se considerato sotto un punto di vista d'insieme, come se non ci fosse il coraggio o la maturità per rischiare e tentare di lasciare il grembo materno. Del resto è proprio questa capacità di mostrarsi diversi tra mille altri ad aver reso memorabili le opere degli illustri antenati dei The Last Warning e che traccia la linea divisoria tra dischi normali, buoni e capolavori.
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