Altro giro, altra band fatta di nomi più o meno conosciuti che hanno pensato bene di riunirsi per dare sfogo alla loro vena creativa. Questa volta è il turno di tre ex
Annihilator, per l'esattezza si tratta del cantante
Joe Comeau, del batterista
Randy Black e del bassista
Russ Bergquist, che insieme al chitarrista Nikolai Wurk hanno dato vita a questa creatura di nome
DuskMachine.
Sotto questo nome era già uscito nel lontano 2005 l'album intitolato
The Final Fall al quale poi non ha fatto seguito nient'altro fino a oggi per problemi vari di line up, che sembrano essere finalmente risolti alla luce dell'omonimo disco di cui andremo a parlare.
Duskmachine dei DuskMachine contiene, tra le altre, anche la canzone intitolata Duskmachine, segno che questi signori credono davvero nel potenziale di tale denominazione... oppure che erano terminate le idee, tutto può succedere. Il genere proposto è un accurato mix tra groove metal e thrash, con un occhio di riguardo verso qualche contaminazione crossover, soprattutto nella ricerca di ritornelli sempre tendenti più alla melodia che alla violenza. In sostanza quello che ci troviamo di fronte è un album pesante nella sua struttura portante, con riff tipicamente thrash sapientemente alternati a passaggi cadenzati da headbanging cattivo e soddisfacente, come nel caso della bella
Endless (scelta come singolo) o della title track che insieme all'opener
I Feel No Pain e
Bloodshed calano sul tavolo un poker non indifferente.
Dying In My Skin è un mid tempo che sfortunatamente non lascia il segno, troppo simile ad altre cose già sentite, un po' troppo lunga e soprattutto sembra strizzare l'occhio a sonorità un po' nu metal che stridono con quanto proposto nel resto del disco. In generale è tutta la seconda parte del disco ad accusare un po' di stanchezza, niente di drammatico, non sono presenti filler di sorta, ma semplicemente piccole sbavature che si vanno a sommare una all'altra rendendo meno piacevole l'ascolto fino alla fine. Da segnalare, comunque, la velocissima
Conquer All che si contrappone in modo netto alla bella ballad
My Empty Room (quanto suona Annihilator!) e la conclusiva
Escaping, che chiude il lavoro in modo più che degno.
Nulla di nuovo sul fronte occidentale, sia chiaro, ma la perizia sia tecnica che compositiva c'è e si sente, così come è da sottolineare il tentativo di non cadere nella monotonia tramite soluzioni mai banali. C'è tanto lavoro sotto e questo va premiato, perché ci sono troppe band in giro che pensano che la musica sia soltanto riciclare all'infinito altre idee, con il risultato di avere sul mercato centinaia di dischi identici e piatti. I
DuskMachine non inventano niente, ma hanno il pregio non indifferente di non essere i cloni di qualcun altro. E scusate se è poco.
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