Mercenary - Through Our Darkest Days

Copertina 4

Info

Anno di uscita:2013
Durata:54 min.
Etichetta:NoiseArt Records

Tracklist

  1. A NEW DAWN
  2. WELCOME THE SICKNESS
  3. THROUGH OUR DARKEST DAYS
  4. DREAMSTATE MACHINE
  5. A MOMENT OF CLARITY
  6. BEYOND THIS NIGHT
  7. STARVING EYES
  8. GENERATION HATE
  9. FOREVER THE UNKNOWN

Line up

  • Jakob Mølbjerg: guitars
  • Martin Buus Pedersen: guitars, keyboards
  • René Pedersen: vocals, bass
  • Peter Michael Mathiesen: drums

Voto medio utenti

Questa recensione necessita una premessa: voglio fare un esperimento, qualcosa che non è mai stato fatto sulla faccia della Terra (o forse si) e che mi porterà sull'orlo della follia. Cosa? Voglio recensire "Through Our Darkest Days", nuovo album dei Mercenary, da due punti di vista diversi, quello di chi per la prima volta si approccia ai danesi e quello di chi, come me, li segue e li ama dagli esordi. Approcci che ritengo necessari, perchè un album del genere provoca reazioni totalmente contrastanti e che vanno trattate sia con obiettività sia col cuore. Procediamo quindi con..

..ma vattene affanculo René, con tutto il cuore.
Continua a suonare il basso, continua a gracchiare, apri una pizzeria ad Aabybro, dedicati alla tua bellissima figlia ma per favore, PER FAVORE lascia stare i Mercenary. Evita di rovinare ancor di più una creatura praticamente perfetta, che sfornava album uno più bello dell'altro, mutando stile in maniera quasi naturale, arricchendosi di elementi nuovi e moderni ma non snaturando un anima fondamentalmente death/prog, spruzzata di un power oscuro e da un'elettronica assoluta padrona, senza risultare però pacchiana.
Poi sei arrivato tu e, casualmente, tutto è cambiato. E finché ti limitavi a suonare soltanto e ad accompagnare Mikkel alla voce, andava tutto bene: "Architect of Lies" è stato un disco di altissimo livello, con due o tre picchi clamorosi tipo "Embrace the Nothing" o "Death Connection" e niente lasciava trasparire un addio in successione dei fratelli Sandager (IL motore pulsante dei Mercenary) e dell'ottimo Park Nielsen.
E invece eri appena arrivato e hai tirato in piedi un macello..
"Metamorphosis" era un disco mediocre, buono forse per un gruppetto metalcore all'esordio ma appena sufficiente per una band che ha sfornato capolavori assoluti quali "The Hours That Remain"; "Everblack" o "11 Dreams".
"Through Our Darkest Days" è un album che mi mette addosso una rabbia tale da non potermi esimere dal mandarti affanculo una seconda volta: vocalmente imbarazzante, indegno anche solo di allacciare i sandali di Mikkel Sandager (scusate il gioco di parole), musicalmente piatto e senza idee, un metalcore, perchè questo ormai siete diventati, scontato e banale sollevato solo parzialmente da qualche brano con un minimo di coglioni.
Ma la rabbia non deriva tanto dalla scontatezza e dal livello medio-basso del disco, quanto soprattutto da un inizio assolutamente carico di buone speranze, speranze che vengono buttate poi nel cesso da una seconda parte assolutamente ridicola: l'opener "A New Dawn" riprende un po' alcune delle sonorità di "Architect of Lies", quelle più soft forse, ma ce le saremmo fatte bastare più che volentieri; la successiva "Welcome to Sickness" parte invece violentissima grazie all'ottimo lavoro del nuovo batterista Peter Mathiesen, salvo sfociare in un classico, ma interessante, ritornello in clean; "Through Our Darkest Days" è la goccia che fa traboccare il vaso della rabbia, cosa che ti costa il terzo vaffanculo della recensione, trattandosi di una canzone PURAMENTE in stile Mercenary, quelli veri, quelli bravi, quelli che mi facevano venire la pelle d'oca, così come avviene ascoltando un brano oscuro, dove l'elettronica è misurata e dosata per intimidire e intimorire, dove ogni cosa è al posto giusto e dove la vena death/power/prog dei danesi esce in tutta la sua splendida violenza sonora. Un brano che con Mikkel alla voce sarebbe entrato senza dubbio nella mia personalissima Top3 dei Mercenary, senza se e senza ma. Caruccia è anche la penultima"Forever The Unknown", grazie ad un ritornello estremamente catchy e a un bel lavoro dal punto di vista chitarristico.
Poi praticamente il nulla, il vuoto cosmico, una sequela di brani papparapa-core senza anima, senza cuore, senza senso, culminanti in quella boiata immonda di "Generation Hate", praticamente una versione ancor più pacchiana di quell'orrore che era "Black Brigade". Ma chi li scrive i testi, Fabio Volo? Ma vaffanculo va, numero quattro.

E basta, che sennò m'incazzo ancora di più. "Through Our Darkest Days" è il canto del cigno dei Mercenary, che con questo album dichiarano ufficialmente la loro morte. A meno di cambiamenti radicali all'interno della band non vedo spiragli positivi per i danesi: l'unico motivo di flebile speranza è quella title track, mosca bianca all'interno di un buio pesto, che più pesto non si può.

Quoth the Raven, Nevermore..
Recensione a cura di Andrea Gandy Perlini

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 07 set 2013 alle 04:10

Tivibì!

Inserito il 07 set 2013 alle 02:33

gandy sei malato asd

Inserito il 01 set 2013 alle 12:10

per il genere suonato ora è un album ineccepibile...inaccettabile se confrontato con l'inizio carriera...concordo con le entrambe le recensioni e con Pasko...

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