Non era facile dare seguito all’acclamato “Phosphene dream” (2010), così i
The Black Angels hanno prodotto un album più ragionato, studiato a fondo, nel quale stavolta prevale la forma-canzone, il ritmo, il groove.
Certo lo stile rimane sostanzialmente lo stesso: un florido e colorito mix di garage rock ’60, pop-psichedelia, suggestioni vintage ed un pizzico di modernismo sonoro; solo che ora ogni singola melodia è strutturata per rimanere impressa, ogni ritmica si differenzia per risultare avvolgente, insinuante, energetica, stralunata o semplicemente e puramente rock. L’uso di tastiere dal timbro antico e gli effetti sulla voce aggiungono una vibrazione “polverosa” al tiro spigoloso di “Indigo meadow”, “Don’t play with guns”, “The day”, “Broken soldier”, brani dai ritornelli a presa rapida ma assai maturi. In altri casi si palesa una leggerezza gioiosa e quasi beatlesiana, vedi la scanzonata “Love me forever”, oppure un richiamo ai lavori precedenti nella acidità lunare di “Holland” o “I hear colors (chromaesthesia)”, due pezzi particolarmente articolati.
Si percepisce un’accurata ricerca del sound giusto, perfino trendy, in questo nuovo disco dagli accostamenti ben calibrati, cosa peraltro prevedibile per una band che ha ormai raggiunto la propria maturità artistica. Meno irruenti ma più immediati rispetto a prima, i The Black Angels si confermano una delle fresche realtà del panorama indie-alternativo.
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