Sarà un'affermazione un po' banale... ma se non avessi già stilato la mia Top Ten del 2013, questo "Avatarium" non avrebbe avuto alcun problema a ritagliarvisi un
posticino.
Gli
Avatarium si sono formati intorno alla figura del bassista Leif Edling (Candlemass, Krux, Abstrakt Algebra...) al cui fianco si sono raccolte diverse
vecchie conoscenze quali Marcus Jidell (Royal Hunt, Evergrey), Lars Sköld (Tiamat), Carl Westholm (Candlemass, Krux, Abstrakt Algebra) e infine la cantante Jennie-Ann Smith, che finora poco o nulla aveva avuto a che fare con la scena Hard & Heavy.
Non si può certo pretendere che gli Avatarium ripudino le passate esperienze, ma quello che ci propongono è indubbiamente più vicino al sound e alla classe di
gruppi d'élite seventies come Blue Oyster Cult e Jethro Tull. Eccoli quindi procedere senza esagerare con i momenti incisivi ed elettrici, limitando anche le tentazioni verso il Doom più classico (che comunque caratterizza la solenne titletrack), perlomeno se messe a raffronto con le atmosfere eteree e sognanti che incontriamo nel corso dell'album ("Pandora's Egg", la conclusiva "Lady in the Lamp"), tutt'al più oltre alle formazioni appena citate, possiamo azzardare tra i possibili termini di confronto anche Led Zeppelin, Black Sabbath e Rainbow.
La lunghezza delle canzoni e le strutture composite e ben studiate sono un'altra delle loro peculiarità, ben evidenti già dall'opener "Moonhorse", che dopo essersi evoluta da quel suo giro iniziale distorto e doomeggiante, vi alterna parti sognanti e malinconiche che spingono a pensare alla collaborazione tra Nick Cave e Kylie Minogue che diede vita a "Where the Wild Roses Grow".
Non inventano nulla, ma gli Avatarium riescono a dare una visione molto personale e ben lontana dalle aspettative che si potevano avere. Grazie a queste sette canzoni che scorrono via pulsanti ed eleganti (come nel caso dell'accattivante "Boneflower"), talvolta con passo marziale (l'inizio di "Tides of Telepathy"), più spesso con larghi squarci acustici e l'affiorare di melodie malinconiche, ad esempio quelle che dominano la già citata "Lady in the Lamp", ballad incentrata sulla voce di Jennie-Ann Smith, che sul finale diventa poi campo di battaglia per un intenso guitarwork.
Il risultato delle loro fatiche è un album in grado di affascinare sin dal primo approccio e che poi, con gli ascolti, cresce ulteriormente grazie alle diverse sfumature che tendono a delinearsi, ma allo stesso tempo diventa anche più evidente come talvolta le canzoni scorrano lungo rivi fin troppo simili tra loro, e forse è proprio questo tasto che dovranno battere gli Avatarium quando scoccherà l'ora di mettersi al lavoro per il suo successore.
Per ora
accontentiamoci... Listen close what is this, not bird or plane
Could it be the review fucking with your brain
All it takes just one touch over one, two, three
With a flick of a switch turn on... Metal.it
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