Li attendevo al varco con ansia
vera fin dai primi
rumors, tanto da inserirli tra le principali aspettative del 2014 nella
playlist annuale di questa gloriosa
webzine.
E ora che il debutto dei
Red Dragon Cartel martella incessantemente già da parecchi giorni il mio apparato
cardio-uditvo, la sensazione che provo è uno strano misto, in tipica salsa agrodolce, di
soddisfazione e
delusione.
Soddisfazione, per il ritorno in grande spolvero di uno dei miei chitarristi preferiti, quel Jake E. Lee “innamorato” di Tommy Bolin, artefice dei primi passi dei Ratt (quando si chiamavano Mickey Ratt) e dei Rough Cutt, in grado di sostituire (rimpiazzando Brad Gillis e battendo, si dice, la concorrenza di un “certo” George Lynch …) il compianto Randy Rhoads nella
band di Ozzy Osbourne, per poi approdare alla fondazione dei Badlands, per quanto mi riguarda uno di quei gruppi cui il prefisso
super non è per nulla pletorico, un autentico pezzo di storia del
rock, purtroppo troppo presto consegnato ai suoi annali.
Delusione (non moltissima, in realtà!), per un disco formalmente impeccabile, arricchito di ospiti prestigiosi (Robin Zander, Paul Di’Anno, Sass Jordan, Maria Brink degli In This Moment e poi ancora Rex Brown, Scott Reeder, i due Slash’s Conspirator Todd Kerns e Brent Fitz e Jeremy Spencer dei Five Finger Death Punch), ma che sembra eccessivamente “passivo”, se mi passate il termine, per come si prodiga nel tentare di “sfruttare” il passato più
popolare del
guitar-hero di Norfolk e di contestualizzarlo nel
mainstream contemporaneo.
“Red dragon cartel” è, dunque, semplificando i termini della questione, una sorta di Ozzy Osbourne
meets Slash (con taluni ammiccamenti a Velvet Revolver e Alice In Chains, se non addirittura a Rob Zombie …), ben congeniato e realizzato e tuttavia abbastanza prevedibile (e un po’ dispersivo) nelle soluzioni espressive, nonché non sempre straordinariamente ispirato nei contenuti artistici.
Ciò detto, un’adeguata “consolazione” la forniscono la fiammeggiante chitarra di Mr. Lee (dal fraseggio e dal tremolo inconfondibili … chissà se per ottenere quest’ultimo flette ancora il manico del suo strumento ... ai tempi parecchi emulatori con attrezzature meno professionali delle sue ebbero brutte sorprese da questa singolare tecnica esecutiva …), la voce discretamente duttile e a tratti parecchio
Madman-esque di D.J. Smith, la tellurica sezione ritmica Jonas Fairley / Ronnie Mancuso (dei Beggars & Thieves … ricordate il
cameo di Jake nel
video della loro “We come undone”, con tanto di didascalia polemica nei confronti di chi gli chiedeva di suonare per l’ennesima volta “Bark at the moon”? …
Beh, evidentemente, alla luce di questo lavoro, il nostro si è “riconciliato” con certe situazioni …) e una decina di canzoni tutte piuttosto piacevoli e coinvolgenti, da cui si stagliano la bollente “Deceived”, la malinconica (con un vago tocco di Jane’s Addiction …) "Fall from the sky”, la coltre Sabbath-
iana che avvolge (fin dal titolo …) “War machine”,
l’heavy blues “Redeem me” (ottima Sass Jordan) e “Feeder”, il vero capolavoro dell’albo, pregno di profumi esotici e di colori iridescenti, impreziosita da uno Zander semplicemente perfetto.
Non male, poi, gli
anthems “modernisti” “Shout it out”, “Wasted” (con un ruggente Paul Di’Anno) e “Slave”, mentre davvero poco convincente appare “Big mouth”, in assoluto il brano più “inoffensivo” del programma, anche di “Exquisite tenderness”, un breve congedo pianistico di dubbia utilità.
Il bentornato è d’obbligo, eppure è la carriera stessa di questo talentuoso musicista a “pretendere” di più … intanto aspetto con impazienza il momento in cui potrò vederlo all’opera, assieme ai suoi sodali, nel
cast stellare del
Frontiers Rock Fest, un evento imperdibile, vagheggiato da tempo immemore e ormai vicino alla sua inattesa realizzazione.
I sogni a volte si avverano …