Dopo aver ascoltato attentamente “Up the dosage”, sesto lavoro in studio dei
Nashville Pussy, la prima cosa che viene in mente è che si tratta senza ombra di dubbio del loro album più maturo, con tutto ciò che ne consegue. Il disco ci consegna una band ormai ben conscia delle proprie capacità, con uno stile ben definito, e incurante di correre qualche piccolo rischio. Come per esempio buttare giù una manciata di brani leggermente meno ruffiani e zozzi rispetto a quello a cui c’aveva abituato con i precedenti lavori, ma altrettanto accattivanti e decisamente più completi, dal punto di vista degli arrangiamenti.
Chiariamo subito, non pensate che la band si sia data al pop. Eresia!! Ci troviamo in ogni caso di fronte alle sguaiate chitarre di Ruyter Suys e Blaine Cartwright, e il sarcasmo non s’è certo perso per la strada, i temi trattati sono i soliti, sesso, motori, donne, etc, con la solita ironia che appartiene ormai al trade mark della band… Però il tutto viene fatto con una consapevolezza maggiore. Certo questa sorta di auto controllo può risultare fastidioso a chi amava il loro lato più rozzo e sudato, anche se c’è da dire che a parte qualche episodio, il resto dei brani trasuda sudore e puzzo di whisky, nonostante la sobria copertina potesse far presupporre tutt’altro. Inoltre l’album è abbastanza vario, si passa con tranquillità da brani più spiccatamente hard rock, a quelli dal sapore più southern rock, e c’è spazio perfino per del sano bluegrass con il brano “Hooray for cocaine, hooray for Tennessee”, dove Cartwright prende un po’ le distanze da quello che è stato il suo passato, e quindi dalla cocaina, e, in parte, dal Tennessee stesso…
E se è vero che l’album si apre in maniera anomala con la non troppo convincente “Everybody’s fault but mine”, ci pensa la veloce “Rub it to death” a rimettere le cose apposto, seguita a palla dalle grintose “Till the meat falls out off the bone” e “The south’s too fat to rise again”, e c’è da dire che in realtà non ci sono filler nel disco, tutti i brani si assestano sullo stesso livello, grazie a quell’alternanza di cui parlavamo prima, che rende l’ascolto piacevole e stuzzicante. Anche quando i nostri decidono di lasciarsi andare in una ballad acustica che puzza di Texas lontano un miglio (“Before the drugs wear off”), o nel già citato episodio bluegrass.
Per il resto, chitarroni monolitici, voce sguaiata, cori altrettanto cafoni, e ritmiche possenti, come ci si aspetta dalla band di Atlanta… Il sound sarà anche leggermente meno ruvido del solito, ma i brani vi entreranno in testa come un tarlo e difficilmente usciranno fuori, grazie anche al fatto che sono quasi tutti assestati sui tre minuti, quindi immediati e diretti… La musica dei Nashville Pussy è virale, si diffonde con la stessa capacità con la quale manderete giù una serie di whisky durante l’ascolto, fidatevi…
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