Trentasei anni di carriera e non sentirli. Questo è l'incipit ideale quando si sta per affrontare una recensione su un disco dei
Magnum. La band di Tony Clarkin&C. ha sfidato quattro decadi di rock (salvo la pausa del periodo 1995-2001) in maniera eccelsa, pubblicando un album meglio dell'altro. Eclettici, raffinati, meticolosi nella stesura dei brani, danno quasi sui nervi per quanto la loro musica sgorghi così pura dalla sorgente musicale dalla quale si abbeverano i magnifici inglesi. L'ispirazione e il songwriting sono sempre i medesimi, l'interpretazione assoluta di
Bob Catley permane invariata, la magia portata dai
Magnum non accenna a finire. Al contrario, il gruppo inglese si dimostra ricercatore di una profondità musicale sempre più pregiata, capace di trasmettere emozioni autentiche. I
Magnum, con
Escape from the Shadow Garden, ci accompagnano in un'illusione, in un sogno generato da un sonno profondo, in un luogo dove ristagnano tutte le pulsioni dell'animo umano, dal quale si fa fatica ad uscire una volta che la musica va via via dissolvendosi. Dove si trova dunque questo giardino dell'ombra è difficile da stabilire, di certo dove dimorano paura e ossessione, tristezza e malinconia. Nell'angolo più nascosto del nostro essere, nel quale affonda le radici il maestoso albero di
Chase the Dragon (ripreso e ritratto da
Rodney Matthews nella stupefacente copertina di questo nuovo disco) si addentrano i Magnum, ritrovando l'enigmatica figura di uno storyteller, questa volta disperato, perso. Anch'egli è vittima del giardino dell'ombra, dove si riconosce quello strano personaggio che troneggiava nell'artwork di
On The 13th Day, creatura a metà fra un mostriciattolo fantastico e un ibrido tecnologico, scrutatore nell'ombra, malefico essere. Punti interrogativi e mani fuorvianti completano la splendida illustrazione di
Escape from the Shadow Garden, ricca di ritorni al passato e di indicazioni all'incerto futuro. Mettetevi comodi, lo spettacolo sta per cominciare.
Live 'til You Die, opener del disco, è scandita da un'orchestrazione ben strutturata, guidata dagli archi della tastiera di
Mark Stanway, melodie raffinate, riff cavalcanti e assoli che ci spalancano le porte del giardino dell'ombra. Atmosfere abilmente sfumate traghettano verso
Unwritten Sacrifice, un dolce giro di piano scorta sino al canto disperato ed espressivo di Catley, motivi eleganti e ricercati dominano l'intero pezzo, ornato da un seducente riffing di chitarra.
Falling for the Big Plane apre malinconicamente grazie al pianoforte e all'interpretazione del vocalist, per poi sfociare in un brano movimentato e rockeggiante in un continuo alternarsi di momenti più delicati, nei quali tastiere e chitarre primeggiano magistralmente.
Crying in the Rain ci ricorda che il soggiorno nel giardino dell'ombra non può esser tranquillo e piacevole, un sottofondo cupo domina tutta la canzone. La voce di Catley si esprime al meglio creando quell'atmosfera sofferente che ha origine dalle indomabili visioni provenienti dalle strane creature e meraviglie dell'inconscio. Esseri bizzarri e stravaganti, simili a quell'oscuro individuo di
On The 13th Day, prendono vita in
Too Many Clowns. Pezzo ritmato e scatenato che sembra discendere direttamente dai 70s, territorio che i
Magnum sanno esplorare sapientemente.
Midnight Angel ci riporta in quel luogo incantato ma funesto, il synth brilla in maniera particolare così come il drammatico canto di Catley.
The Art of Compromise è guidata nel suo inizio dalla voce e dal piano, che generano un'atmosfera struggente poi trasformata in un brano ancora malinconico ma lucente, come se la band volesse indicarci la via da seguire all'interno del menzognero giardino dell'ombra.
Don't Fall Asleep, pezzo in cui Catley sperimenta efficacemente un cantato tragico e commovente, ci trascina nuovamente in quel regno di dolore e perfidia dal quale soltanto noi stessi possiamo sfuggire, attraverso l'amore ed il sacrificio.
Wisdom Had Its Day comincia a far intravedere il flebile bagliore dell'uscita dal malefico luogo; la sinfonia, la melodia e le linee vocali sono il fulcro della canzone.
Burning River ricalca i sentieri del rock, pezzo rabbioso e bruciante, arricchito da un bel assolo di
Tony Clarkin.
The Valley of Tears accompagna l'ascoltatore fuori dal giardino dell'ombra, malinconia e tristezza regnano parimenti in questo brano, come se una sorta di dispiacere imperasse alla fine del difficile viaggio appena affrontato.
Al termine di
Escape from the Shadow Garden le lodi ai
Magnum vanno sicuramente assegnate. Il gruppo inglese è sempre in grado di mantenersi ad alti livelli, di impegnarsi nel songwriting non lasciando nulla al caso, di regalare episodi indimenticabili e di elargire momenti di buona musica senza scadere nel banale. L'acquisto per i fan è d'obbligo, così come per i neofiti dell'opera magnumiana, ma anche per il rocker in generale.
Escape from the Shadow Garden è dunque adatto a tutti i tipi di ascoltatore.