I
Winger “spensierati” dei primi due dischi non ritorneranno, ormai credo che persino il più “nostalgico” dei loro
fans ne sia consapevole, anche dopo il parziale “ripensamento” di “Karma”.
Verosimilmente, però, sarà difficile pure vedere la
band statunitense riproporre in toto il
mood fosco di un disco come “IV”, che aveva segnato il suo ritorno alla vita artistica dopo parecchi anni d’oblio.
Tutto questo perché, in fondo, il gruppo in questione ha sempre cercato di “mescolare le carte” della sua imponente ispirazione, non conformandosi praticamente mai a quello che ci si “aspettava” da lui.
Ed ecco che “Better days comin’” appare come l’ennesimo “nuovo” modo per presentarsi alla comunità melodica, miscelando spigliatezze
hard-rock, fantasia
prog e oscure tensioni soniche, tentando in qualche modo di far convivere tutte le pulsioni creative che hanno contraddistinto le sinapsi
cerebro-musicali dei suoi autori in tanti anni di onorata carriera.
L’esperimento per quanto mi riguarda può definirsi riuscito, anche se bisogna ammettere che “immediatezza” e “omogeneità” non sono termini utilizzabili per la sua caratterizzazione, che invece si avvicina al concetto di un “eclettismo emancipato” piuttosto avvincente, sebbene non del tutto armonizzato.
La sensazione che il processo di amalgama tra le varie suggestioni presenti nel disco non abbia trovato un adeguato compimento è, infatti, abbastanza persistente, ma è anche vero che quando una formazione è capace di produrre autentici gioielli in note del calibro di “Tin soldier” (una sorta di Yes del
terzo millennio), “Ever wonder” (una ballata soffusa veramente “adulta”) e “Out of this world” (un imperioso crescendo d’emozioni), il resto passa (quasi) in secondo piano.
Soprattutto, poi, se quel “resto” si chiama “Midnight driver of a love machine”, cangiante
party-anthem per tempi difficili, “Queen Babylon” possente e satinata al tempo stesso e "Better days comin’”, una
title-track impregnata di
soul e di
funk, avvolgente, agile e vischiosa come se Jeff Scott Soto e i King's X
jammassero con i Poison.
Leggermente meno efficaci appaiono la grinta vagamente Montrose-
iana di “Rat race”, il tocco “moderno” di “So long China” e le rarefazioni passionali di "Be who you are, now”, mentre la densità colloidale di “Storm in me”, seppur un po’ “fuori contesto”, finisce comunque per conquistare i sensi.
I Winger hanno dunque sfornato un lavoro di notevole pregio, che forse lascerà gli ascoltatori lievemente “disorientati” e che con un pizzico di maggiore focalizzazione avrebbe potuto davvero “spaccare”, e non solo le opinioni del pubblico.
Non rimane che sottoporre il nuovo repertorio alla prova del palco, e per una volta assistere in “diretta” a tale
test non sarà una chimera … pronti per il
Frontiers Rock Festival?