Qualcosa è cambiato. Spregiudicati piloti di corse clandestine che prima attraversavano gli incroci a tutto gas senza curarsi delle altre auto si sono trasformati in guidatori più coscienziosi, sempre valenti e performanti, ma che alzano il piede di tanto in tanto e guardano a destra e sinistra prima di attraversare. Con questa patetica metafora (non sono certo
Yoda, Gandalf o il maestro
Mijagi) mi appresto a parlarvi del nuovo lavoro dei
Misery Index, lavoro che mi ha in parte spiazzato. Non capite male, è un signor disco, lo comprerò come ho fatto con tutti gli altri e la mia stima per il quartetto di Baltimora rimane immutata, solo prendo atto di un certo cambiamento. Il cambiamento di cui parlo è riscontrabile già dai numeri, ovvero
The Killing Gods è il loro album più lungo (quasi 44 minuti) e con più tracce, 12. Questi dati sembrano dire poco, ma se pensiamo che il death metal venato di grindcore che i nostri ci hanno buttato in faccia dall'inizio è sempre stato "dritto al punto", cominciano a delinearsi scenari un po' differenti. Oddio, anche nel precedente capolavoro
Heirs to Thievery il grind è stato ridimensionato a favore di un death propriamente detto, ma alla fine il disco funzionava eccome!
L'imprevedibilità, la follia sonica, la botta che a cui siamo abituati viene qui invece frenata, diluita, "ambientata", le canzoni sono più ragionate e "costruite".
I lenti e sinistri arpeggi iniziali di
Urfaust introducono
The Calling, prima vera traccia, che ti svita la testa e si fa amare da subito ma dove si nota anche l'inserimento di sottili melodie sottocutanee, ambientazioni oscure, pessimiste e decadenti ben riprese dalla breve strumentale
The Oath. Anche il singolo
Conjuring the Cull, per quanto eccezionale, presenta queste ombre, questo lento pessimismo di fondo che viene talvolta squarciato da improvvise accelerazioni letali, ma che non se ne va completamente. La
title track è invece annunciata da canti gregoriani, lenti arpeggi e atmosfere sospese, ma l'illusione dura poco e al 2' minuto parte un missile a cui si aggiunge una spruzzata di
Napalm Death, per terminare ancora in modo vagamente sinistro.
Possiamo semplificare dicendo che la prima parte del disco è diversa dal solito per i motivi sopra descritti ma funziona ugualmente molto bene.
La seconda parte del lavoro è quella più classicamente
Misery Index, sebbene non brilli per violenza o coinvolgimento.
Cross to Bear, Gallows Humor, The Weakener sono abbastanza semplici e basate su accelerazioni e stop improvvisi. Anche
The Sentinels, Colony Collapse e
Heretics con la loro velocità e ignoranza intrinseca, uccidono nella loro semplicità e "orecchiabilità", sebbene stacchi e stop e go non siano sempre mortali come in passato.
In diverse occasioni mi sono venuti in mente i
Malevolent Creation del periodo
Envenomed/The will to Kill e il loro alternare mitragliate a rallentamenti groove. Bei tempi, ma non divaghiamo.
Qui ci sono, insomma, canzoni un pochino diverse messe insieme in un modo forse non molto omogeneo, che danno sì varietà al lavoro, ma che non lo rendono feroce come altri o ispirato come il precedente. Come se avessero voluto apportare qualche modifica al songwriting, "evolvere" il modo di comporre, senza il coraggio di farlo in tutti i pezzi, tenendone qualcuno "old style" (non riuscitissimo) per non scontentare qualcuno.
Forse sono solo riflessioni da fan devoto, chi non li ha mai ascoltati si troverà probabilmente davanti un lavoro molto buono, io lo ritengo "solamente" più che discreto.