Cosa c'entra
Chino Moreno dei Deftones con una band prog-metal australiana? Un bel fico secco, direte voi. E invece. Già, perchè il buon Chino ha paragonato l'ugola del singer dei
Voyager,
Daniel Estrin, a quella di
Simon LeBon, sogno erotico (neanche tanto) segreto di milioni di pulzelle negli eighties.
E il paragone, per quanto bislacco, non è affatto azzardato: Daniel ha quel timbro baritonale e caldo, molto pop oserei dire, ma che si sposa alla perfezione con il sound intelligente, potente e meccanico della sua band, qui giunta al quinto capitolo della propria esistenza discografica.
"
V" è il classico album dei Voyager, per chi di voi li conoscesse già: strutture cadenzate e arzigogolate, ritornelli ariosi e melodici, tecnica a vagonate ma sempre al servizio della forma canzone, tanto che anche in questo nuovo dischetto non troverete tracce che sforino i 5 minuti e spicci.
Introdotto dal singolo "
Breaking Down", perfetta epitome del platter, "V" si dipana per circa 54 minuti, offrendo all'ascoltatore composizioni molto ben rifinite e cesellate, poggianti su un prog-metal tecnico e melodico, con l'unica pecca di assomigliarsi, alla lunga, un pò tutte tra di loro. Intendiamoci, qui la qualità c'è e si sente, ma molti dei brani di questo album hanno la spiacevole tendenza a suonare molto, molto simili tra di loro, bruciando così dopo una ventina di minuti l'eventuale effetto sorpresa che in passato i Voyager avevano saputo regalarmi, e penso soprattutto al bellissimo "I am the ReVolution" targato 2009.
Poco male, in "V" c'è tanta carne al fuoco, ed è un disco prodotto benissimo, che è tranquillamente in grado di offrire all'ascoltatore quasi un'ora di prog-metal di gran classe. Consigliato.
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