Quei gothiconi svedesi dei
Deathstars tornano a farsi sentire a distanza di 5 anni dal precedente episodio discografico ed erano diverse le domande che i loro supporters, alla vigilia dell'uscita, si ponevano.
Avranno cambiato suono? Sapranno ancora essere convincenti e avranno qualcosa da dire? Domande amplificate dal fatto che nel frattempo due componenti come
Bone W. Machine (batteria) e
Cat Casino (chitarra) hanno lasciato la band.
Possiamo rassicurare i loro sostenitori, i
Deathstars sono ancora in grado di comporre buona musica e incupire il cielo di nuvole plumbee con il loro cyber-goth-rock-elettronico-metallizzato. Non è che ci sia un gran mutamento rispetto al passato, emerge però un maggiore utilizzo dei synth che creano atmosfere inquietanti e già dall'opener
Explode ce ne accorgiamo, con tastiere che tracciano la strada con melodie malinconiche ma potenti, catchy e tutta la band che segue in modo coeso e convincente. Si dimostrerà infatti una delle canzoni più riuscite del disco. Altri brani che spiccano per qualità sono la
title track (preceduta dalla poetica
Ghost Reviver) e
Asphalt Wings, che va ad aprire un'ipotetica seconda parte del disco. Si, perché questo sembra un album diviso in due parti in cui le prime canzoni sono più semplici, brillanti e dritte al punto e contrastano con la seconda parte del lavoro, fatta di brani maggiormente intrisi di dark wave, pezzi più lenti, decadenti ed oscuri. La voce suadente e maledetta di
Andreas Bergh è sempre in forma e come un mantello, avvolge e protegge gli ascoltatori che si inoltrano nei 10 pezzi proposti, come avventurieri in una buia foresta. I
Deathstars danno così un riuscito seguito a
Night Electric Night e pazienza se molti continuano a dire "lo hanno già fatto i
Crematory o, ancora meglio, i
Rammstein" oppure "sono più fighi i
The 69 Eyes" piuttosto che "gli
Him mi fanno bagnare di più", c'è poco da fare,
The Perfect Cult "si gode" (come dicono a Pavma) e si ascolta con piacere. Tanto mi basta.
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