Praticamente sconosciuti ai più (me compreso), i
Suicide Kings ridendo e scherzando arrivano al quarto full length ufficiale. Autori di un hardcore molto particolare, riescono a piazzare una manciata di brani che si lasciano ascoltare con estremo piacere. La loro formula vincente risiede nel fatto che all’HC più classico uniscono una spiccata vena di punk melodico, che rende i pezzi più accattivanti. Ma non finisce certo qui, altrimenti sarebbe davvero troppo poco. Sono infatti le influenze rock a dare quel tocco di originalità in più che alla fine risulta vincente. Certo, non aspettatevi un capolavoro, si tratta comunque di un album diretto ai maniaci del genere e che con molta probabilità passerà assolutamente in sordina. Però mi sentivo di sottolineare questa cosa, in quanto valore aggiunto rispetto a decine e decine di band sicuramente più insipide. Ma non fatevi ingannare dalle mie parole, non si tratta certo di musichetta da classifica. Quando c’è da pestare duro i nostri non si tirano certo indietro, il tutto facilitato anche dalla sguaiata voce di Rudiger, classico tedescone irruento e nerboruto, che sfoga la sua rabbia nel malcapitato microfono. Se ascoltate la title track, infatti, oppure “Feed” e “Call it a day”, due schegge veloci e incazzate, capirete cosa intendo. A tutto ciò si contrappongono brani come “In my eyes”, “Passion and life” e “We are the scum”, dal sapore vagamente californiano, o, meglio ancora, pezzi come “E-razed” o “Suffer” in cui il rock ‘n’ roll e il rock in generale fanno prepotentemente capolino… In definitiva, un disco allegro, spensierato, energico, e a modo suo originale, aiutato da una produzione pulita ma potente, e da una prova strumentale degna di nota. Ripeto, nulla che possa far gridare al miracolo, ma se per una mezz’oretta volete staccare la spina del cervello, “Suicide generation” può fare al caso vostro…
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