Secondo album per i veneziani
Return From The Grave, formazione che possiamo tranquillamente annoverare nel filone neo-seventies al pari di gente come Orchid, The Vintage Caravan, Kadavar, Uncle Acid e compagnia. Il verbo sabbathiano trasuda da ogni nota, lo spirito dei ’70 rivive perfino nella registrazione rigorosamente analogica, quindi chi rifugge questa filosofia musicale è avvertito.
Ma il quartetto nostrano possiede quel pizzico di personalità che lo pone al di sopra del livello dei puri imitatori. I loro brani sono credibili, delineati, discretamente riconoscibili, pur nel segno di un heavy rock assai tributario di Iommi e soci. Infatti se in episodi come “Words in words” e “Uncovered fate” l’influenza principale della band è facilmente riconoscibile, un brano quale “The rage of rays” possiede un tocco evocativo che profuma di doom metal ottantiano, con la parte vocale che si allontana dallo stereotipo Ozzy-iano.
Con la corposa “River in the sky” c’è spazio anche per sonorità più liquide e trippy, suggello di un lavoro che riesce a mantenersi su un livello discreto dall’inizio alla fine.
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