Con un paio di mesi di ritardo rispetto alle attese anche gli Immolation mettono fuori il naso dallo studio di registrazione e presentano il loro ultimo lavoro ai loro fans. Il prezioso dischetto a nome "Harnessing Ruin" si dimostra all'altezza del suo predecessore "Unholy Cult" e ne rappresenta una naturale evoluzione, una efficace dimostrazione degli sforzi prodotti dalla band nella ricerca e nel perfezionamento di uno stile che possa essere contemporaneamente personale e facilmente assimilabile da chiunque apprezzi la nostra cara musica estrema. Ci troviamo di fronte dunque a nove pezzi di notevole impatto, nervosi e violenti nel loro incedere ma meno caotici che in passato, dove la componente grind passa leggermente in secondo piano a favore di possenti stacchi cadenzati, spesso in doppia cassa, sui quali poggiano riffs dal peso specifico devastante. La "melodia" ritmica delle chitarre, pur continuando a strizzare l'occhiolino ai Morbid Angel, incomincia ad essere decisamente riconoscibile e personale, e questa considerazione può essere tranquillamente estesa anche per l'aspetto solista delle canzoni In mezzo a questo magma ribollente spuntano anche alcune dissonanze e diversi passaggi vagamente ipnotici che arricchiscono, diversificano e caratterizzano meglio rispetto agli album precedenti le varie songs ("Dead To Me" e la titletrack forniscono un buon esempio in merito). Ciò che invece non è cambiata negli anni è la voce catacombale di Ross Dolan, che sembra provenire da un cratere che trova sbocco direttamente nel mezzo dei peggiori gironi dell'inferno. Se a tutta questa grande abbuffata aggiungiamo anche una produzione pulita e brutale ed il fatto che, diversamente da "Unholy Cult", tutti i pezzi composti abbiano un loro significato e nessuno di loro sia presente come riempitivo per aumentare la durata dell'album, otteniamo quello che forse è il lavoro migliore degli Immolation dai tempi di "Dawn Of Possession". In due parole: da avere!!!
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