Due dischi eccellenti (per i quali si erano “scomodate” anche celebrità del settore del calibro di Desmond Child, Michael Bolton, Bon Jovi e Martin Briley) alla fine negli anni ottanta, seguiti da un immeritato oblio, rendono la
rentrée sulle scene dei
Dalton un piccolo “evento”, almeno per chi, come il sottoscritto, adora da sempre l’
hard melodico scandinavo e ha un debole per tutte le formazioni di valore un po’ “dimenticate”.
Così, anche se il fenomeno delle “riscoperte” è diventato una consuetudine del mercato odierno, accolgo con notevole favore l’uscita di questo “Pit stop”, realizzato dalla medesima
line-up che ai tempi mi deliziò con la sua brillante miscela di Treat (Mats “Dalton” Dahlberg arriva proprio da quella favolosa
band), Bon Jovi, Deep Purple e Pretty Maids.
Una
fiducia confermata dai fatti, fortunatamente, giacché il terzo lavoro degli svedesi ce li riconsegna piuttosto “integri” e ispirati, sufficientemente “vitali” e credibili da non farli apparire per nulla una “vecchia gloria” in cerca di scampoli di notorietà.
Merito anche dell’ottimo lavoro in cabina di regia offerto dal solito “Re Mida” Erik Mårtensson (Eclipse, W.E.T.), e tuttavia nemmeno il suo magico “tocco” può cancellare del tutto la sensazione che un pizzico di “ruggine” comunicativa, verosimilmente dovuta al periodo d’inattività, abbia finito per mitigare l’efficacia di un’opera molto godibile e non per questo assolutamente impeccabile.
Le melodie sono adescanti ma non sempre “straordinarie”, gli impasti chitarra / tastiere preziosi eppure talvolta non avvincenti come in passato, i cori sono accurati e ciononostante vagamente carenti nell’effetto “presa rapida”.
Dettagli, in realtà, anche perché la voce di Bo Lindmark è in grande spolvero e tracce esuberanti come “Ready or not”, “Hey you”, "Up & down”, “TGIF” (tra primi Cinderella e Britny Fox, recuperata, al pari di “Don’t tell me lies” e “50/50”, dal repertorio dei R.A.W., con cui i fratelli Lindmark tentarono la “fortuna” nei
mid-nineties) e le Bon Jovi-
ane “Something for the pain” e “50/50” hanno la grinta, la scaltrezza e la
verve necessarie ad allettare i sensi e affrontare con adeguatezza la convulsa competizione melodica contemporanea.
Sul versante maggiormente romantico spiccano la deliziosa “Follow your dreams” e la lussuosa “Don't tell me lies”, e se “Here we are” sembra una versione leggermente “attualizzata“ di Harem Scarem e Aerosmith, tocca ai sussulti di “Bad love” e all’irresistibile “One voice” illuminare di
feeling e di forza espressiva un programma complessivamente assai soddisfacente.
Il motore va lubrificato un pochino meglio, ma “gira” ancora egregiamente … bentornati!
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