Copertina 5,5

Info

Anno di uscita:2014
Durata:49 min.
Etichetta:JK Records

Tracklist

  1. THIS AIN’T PARADISE
  2. SIN
  3. FREAK LIKE YOU
  4. LORD OF THE THIGHS
  5. NOT SAYING SORRY
  6. WORKING IT OUT
  7. I’LL BE YOUR MAN
  8. STEEPLE
  9. HEAVEN’S BURNING DOWN TONIGHT
  10. BREAK ME
  11. DRIVE

Line up

  • Azriel St. Michael: vocals
  • Jeff Westlake: guitar
  • RC Ricci: bass
  • John Cardilino: drums

Voto medio utenti

Talmente folli e sconclusionati da risultare quasi simpatici.
Potrebbe essere questa una maniera idonea a definire i canadesi Audio Porn, stravaganti degenerati del rock n’roll.
Al secondo disco i nostri portano avanti una concezione di hard-rock sicuramente piuttosto “originale” e ciò nonostante anche abbastanza difficile da “digerire”.
Immaginate, infatti, che Bon Jovi, Kiss e Def Leppard abbiano deciso di darsi al metal “moderno” (tra bagliori industrial e post-grunge) e che registrino il risultato di tale “svolta artistica” in “presa diretta”, con un impianto audio inadeguato e un mixer bisognoso di una bella revisione.
Vocals stentoree e sbilanciate, riff poderosi, groovy e sfasati, ritmiche battenti e anarchiche, il tutto assemblato teoricamente in modo “anche” abbastanza stuzzicante, che finisce, tuttavia, inevitabilmente per stancare, dopo una forma iniziale di “curiosità”.
Ascoltare “This ain’t paradise”, “Sin”, “Lord of the thighs” (cover degli Aerosmith), “Not saying sorry” e "Heaven’s burning down tonight”, mi ha fatto tornare indietro nel tempo, a quando i gruppi “emergenti” si scoprivano tramite demo e live-tapes amatoriali, in cui le eventuali virtù erano “ben nascoste” sotto rese sonore a dir poco approssimative e capacità tecniche in via di perfezionamento.
Qui, però, tenendo conto dei mezzi attuali e considerando che non abbiamo a che fare con dei principianti, è la “premeditazione” a sembrare la causa più plausibile di una situazione tanto squilibrata, suscitando la netta l’impressione che i nostri “ci facciano”, diventando, peraltro, davvero irritanti in “Freak like you”, “Steeple” e nella vagamente Manson-iana “I’ll be your man”.
Insomma, se per tentare di essere peculiari, in un genere dai contorni codificati, bisogna arrivare al limite della “molestia” (e sappiamo che non è così … mi vengono in mente i Masquerade di “Surface of pain” o i Shotgun Messiah di “Violent new breed”, per esempio), allora è meglio rischiare di apparire maggiormente “tradizionali” e realizzare prodotti musicalmente e melodicamente avvincenti e armoniosi.
“Simpatici”, forse, ma per quanto mi riguarda, complessivamente poco attraenti.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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