Ehi giovane musicista, attento ad ascoltare questa roba, potresti abbandonare il tuo strumento che sei convinto di maneggiare con destrezza e darti alla disco music.
Poi ognuno dinnanzi a dischi come questo ha le sue reazioni; si può essere inorriditi da cotanta sterilità e freddezza, ci si può esaltare a tal punto da dover prendere fazzoletti per tergere liquidi corporei che sgorgano copiosi (lacrime, che avete capito?), si può apprezzare la bravura della band con moderato distacco. Sto parlando di
Earthborn Evolution, secondo lavoro dei canadesi
Beyond Creation un disco di technical death dove la brutalità lascia spazio all'estro musicale puro, una proposta che si affianca a quella dei conterranei
Augury (con cui condividono il MOSTRUOSO bassista), musica simile a quella di
Obscura, The Faceless, Gorod, Gigan. Avrete capito che l'originalità della proposta non è il punto di forza della band ma, rispetto ai nomi appena citati, i canadesi sono più progressivi, meno brutali, in certe situazioni picchiano bene ma il focus è sempre sugli strumenti, mai sulla cattiveria.
Il lavoro di basso è realmente incredibile, guida le linee delle canzoni e lavora costantemente sotto le chitarre, si destreggia tra sweep, tapping a due mani, slide e chissà cos'altro, ricordando uno
Steve Di Giorgio sotto metanfetamina. Gli stacchi jazzati e free-form sono molto frequenti, anche la batteria è protagonista e si sente la necessità di un video che possa mostrare i colpi che butta per seguirne meglio le evoluzioni. Le chitarre, invece, sono in primo piano negli assoli piuttosto che nel riffing, dimostrando pulizia estrema, scale veloci ed insolite. Rispetto al precedente
The Aura, troppo legato ai maestri del genere e oltremodo freddo, sul nuovo lavoro i
Beyond Creation hanno aggiunto qualcosa, l'anima. Difficile forse trovarla nella quantità di note e poliritmie ma se seiete avvezzi a questo tipo di suono ve ne accorgerete immediatamente. Le composizioni, per quanto complesse e ricolme di finezze, viaggiano da sole, come se galleggiassero. Spesso si ha la sensazione di agglomerati di melodie che si fondono e diventano un'unica onda sonica morbida e fluttuante. A volte i tempi sono lenti, comodi, altre i blast beat della batteria tritano tutto poi si uniscono a partiture jazz rallentate, poi ecco il groove che si ripresenta, incastrato tra infinite variazioni.
Tra le cose che non convincono o che comunque sono da sistemare, segnalo la voce; un growl anonimo, piatto, non incisivo, comunque mai all'altezza delle partiture musicali. Anche la durata del lavoro è un punto a sfavore, ritengo che 46 minuti di contorsioni sul pentagramma siano troppi, alla lunga cala l'interesse e nonostante i molti cambi e soluzioni, si finisce per banalizzare il tutto.
Vi invito all'ascolto anche solo di uno dei video qui sotto, tenete però una zappa pronta perché il vostro strumento non vi servirà più.
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